di Fausta Speranza – Vatican News

La Bosnia Erzegovina ha decretato lo stato di emergenza, ha chiuso i propri confini e ha iniziato ad applicare misure restrittive per fare fronte alla diffusione del Covid 19 già da una settimana. Ufficialmente i contagi da Coronavirus ad oggi sono circa un migliaio con una quarantina di decessi, ma le cifre sono destinate ad aumentare.

Il conflitto in Bosnia ed Erzegovina è scoppiato nell’ambito delle cosiddette guerre jugoslave, tra il 1º marzo 1992 e il 14 dicembre 1995, quando la stipula dell’accordo di Dayton ha posto ufficialmente fine alle ostilità tra serbi, croati, bosgnacchi, cioè bosniaci musulmani. Da allora è storia di difficile ricostruzione mentre centinaia e centinaia di giovani lasciano ogni anno il Paese per mancanza di prospettive. Lamentano un alto tasso di disoccupazione e di corruzione nel Paese che conta circa 3 milioni di abitanti.

Al momento della guerra, l’allora segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha parlato di “una guerra mondiale nascosta”, spiegando che tutte le forze mondiali erano “implicate direttamente o indirettamente” e aggiungendo: “sulla Bosnia ed Erzegovina si sono spezzate tutte le essenziali contraddizioni di questo e del terzo millennio”.

Di quel conflitto la Bosnia ancora sta pagando care le conseguenze, a partire da strutture sanitarie che già normalmente sono insufficienti rispetto ai bisogni della popolazione e che di fronte alla pandemia stanno palesando tutte le carenze. E ancora sembra avvertire il coinvolgimento di tante realtà internazionali, visti gli interessi sul territorio da parte di tanti Paesi. Dell’emergenza coronavirus, delle più importanti questioni sociali aperte, degli investimenti in corso, abbiamo parlato con Luca Leone, giornalista che da anni racconta le vicende dei Balcani nei suoi reportage e che di recente ha pubblicato per Infinito Edizioni il volume “La pace fredda”, dedicato alla Bosnia ed Erzegovina:

Nonostante l’emergenza coronavirus, nei pressi di Tuzla, terza cittadina del Paese, decine e decine di persone sono scese in piazza per bloccare i lavori di costruzione della nuova discarica per le polveri di carbone della centrale termoelettrica programmata nella frazione di Bukinje. La zona di Tuzla ha un passato industriale e un presente di forte inquinamento e disoccupazione. La minaccia per la salute pubblica proviene dall’imponente centrale a carbone da 715 megawatt, con sei unità costruite tra gli anni Sessanta e Settanta, una miniera di carbone a cielo aperto e una discarica delle polveri e di altri residui della centrale, situata appena fuori dalla città.

“Nessuno ha informato gli abitanti di Bukinje che le scorie solide e le polveri di produzione della centrale di Tuzla sarebbero state depositate qui, dove già viviamo nella polvere e nel fango” ha denunciato Goran Stojak, presidente della circoscrizione di Bukinje. Da anni gli abitanti protestano contro l’inquinamento generato dall’impianto, che, secondo uno studio indipendente realizzato dalla coalizione Europe Beyond Coal, sarebbe stato causa di almeno 274 morti premature.

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