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Migranti e religioni. L’invito alle Chiese cristiane: “Baluardo contro le paure”

di Patrizia Caiffa

di Patrizia Caiffa

Prima due famiglie dalla Siria. Poi alcune donne dall’Eritrea e dall’Etiopia. Ancora dopo una madre e una figlia dal Sud Sudan. “Ora stiamo aspettando una famiglia afgana, padre e madre e cinque figli, che vengono dall’isola di Lesbo tramite i corridoi umanitari. Siamo contente di accoglierli”. Suor Eleonora e la comunità delle Suore Missionarie Serve dello Spirito Santo sono abituate ad aprire le porte della loro casa romana ai rifugiati. Dal 2016, in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio, vivono in prima persona l’esperienza di accoglienza di chi arriva tramite corridoi umanitari. “In questo modo apriamo il nostro cuore ai bisogni di chi fugge da guerre e persecuzioni”, ha raccontato ieri suor Eleonora durante il convegno “Migranti e religioni” organizzato a Roma dall’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e dall’omonima Commissione episcopale della Cei. “I rifugiati ci permettono di essere un canale di umanità – ha detto –. Sarebbe bello che altre congregazioni religiose si aprissero all’accoglienza, perché porta gioia e belle sorprese”. Le testimonianze di chi accoglie e di chi è accolto si sono alternate a riflessioni di alto profilo durante la tre giorni di convegno che ha riunito dal 18 al 20 novembre centinaia di delegati da tutte le diocesi italiane per riflettere su un tema tanto delicato e attuale. Presenti anche rappresentanti di altre confessioni cristiane e religioni. Il pluralismo religioso portato dalla presenza dei migranti in Italia propone di ripensare la vita delle comunità, di farsi interrogare ed affrontare nuove sfide con uno sguardo più aperto.

“Chiese cristiane camminino fianco a fianco”. “Migranti e religioni è un tema di grande attualità ma bisogna uscire fuori da una lettura demagogica della realtà”. “I fatti di questi ultimi tempi chiedono alle Chiese cristiane di rendere ragione del Vangelo e camminare fianco a fianco”, aveva detto in apertura di convegno mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, citando l’esperienza del “gruppo di lavoro delle Chiese cristiane in Italia”, che ha definito “un luogo importante e promettente pensato per contribuire alla promozione del dialogo e alla collaborazione”, sia “per la mutua conoscenza, sia per condividere possibili percorsi e progetti”.

Un invito alle comunità cristiane. Nel tracciare le conclusioni mons. Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei, ha invitato “ad interrogarci sele manifestazioni dei cristiani nei confronti dei migranti siano in sintonia con il Vangelo dell’amore nei confronti dei poveri e degli scartati”. “L’odio verso chi è considerato diverso – ha affermato – può diventare eliminazione e morte. Gli ebrei erano cittadini italiani non diversi da noi, eppure le colpe della situazione sociale furono addebitate a loro e vennero sterminati”. “È un pericolo da cui ci dobbiamo guardare anche oggi, perché nessuna fase storica ne è immune”.

E ancora: “Solo l’assenza di un pensiero può far pensare che noi possiamo essere esenti dalle migrazioni, che sono parte della storia e contribuiscono alla costruzione della cultura, recependola e influenzandola. Ogni cultura è per sua natura meticcia”.

“Se noi riconoscessimo nell’altro l’impronta divina – ha chiesto – saremmo ancora capaci di scartare chi è diverso da noi?”. Mons. Spreafico ha quindi esortato tutte le comunità cristiane ad “essere baluardo contro le paure e testimoni di Gesù, che includeva tutti nel suo amore gratuito, cominciando dagli esclusi. Solo questo e non altro è il Vangelo”.

Fcei, “la xenofobia non è un peccato veniale”. Il pastore Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia ha invitato a “dialogare con le paure della gente ma anche ricordare che la xenofobia non è un peccato veniale perché porta maledizioni e morte”. “È stata proprio l’accoglienza ai migranti a dare ampia visibilità al nostro cammino ecumenico”, ha ricordato, facendo riferimento all’esperienza dei corridoi umanitari. “Questo percorso mostra che siamo maturi per fare un salto di qualità nel nostro cammino ecumenico”. Il vicario generale delle parrocchie del Patriarcato di Mosca in Italia Ambrogio Matsegora ha usato invece alcune metafore, tra cui quella del viaggio di Ulisse nell’Odissea, per “una nuova dimensione e forma per discutere di migranti”.

Luoghi di culto, sovranismi e dialogo sulla giustizia. Sul fronte del dialogo mons. Luca Bressan, vicario episcopale della diocesi di Milano, ha raccontato l’esperienza ambrosiana, con 45 chiese cattoliche che ospitano altrettante comunità ortodosse e una consistente presenza della Chiesa copta. Più luoghi di preghiera per tutte le confessioni e religioni “permetterebbero a tutti di conoscere le tradizioni reciproche”, ha affermato mons. Bressan: “Se non c’è un luogo di preghiera non c’è libertà di culto”.

Nei giorni precedenti il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi aveva ricordato che “la scelta sovranista di una parte del popolo contraddice la visione cristiana. Il primato degli italiani sugli ‘altri’ confligge con la cultura cristiana”. Paolo Naso, coordinatore del programma Mediterranean Hope della Federazione Chiese evangeliche in Italia (Fcei), aveva invece invitato ad “aprire un laboratorio di dialogo interreligioso sulla carità e la giustizia”.

Sara De Simplicio: