“Alcuni padri sinodali – si legge ad esempio nel Circolo Italiano A, che ha formulato la proposta – chiedono che in comunità cristiane con un cammino di fede consolidato siano ordinate persone mature, rispettate e riconosciute, di preferenza indigene, celibi o con una famiglia costituita e stabile, al fine di assicurare i sacramenti che garantiscono e sostengono la vita cristiana”. Tutto ciò, per venire incontro al desiderio delle popolazioni amazzoniche “di celebrare la santa Eucaristia in modo frequente e, possibilmente, stabile, come diritto irrinunciabile dei fedeli laici”. Il diritto canonico, si ricorda inoltre nella sintesi, “permette che si richieda alla Santa Sede la dispensa dall’impedimento al sacramento dell’Ordine di un uomo legittimamente e validamente coniugato”.
In particolare il diaconato permanente, ristabilito dal Vaticano II, mostra che “è possibile assumere con efficacia un impegno pastorale, sacramentale e familiare nella Chiesa. La maggior parte delle Chiese di rito orientale che sono parte della Chiesa cattolica conservano il clero sposato. Questa proposta si fonda sulla Sacra Scrittura, nelle lettere apostoliche”. Altri padri sinodali considerano, invece, che “la proposta potrebbe ridurre il valore del celibato, o far perdere lo slancio missionario a servizio delle comunità più distante”. “In virtù del principio teologico di sinodalità”, dunque, taluni padri sinodali ritengono che “il tema dovrebbe essere sottoposto all’opinione di tutta la Chiesa” e suggeriscono “un Sinodo universale a riguardo”. “Il Sinodo è un processo che si apre”, ha fatto notare mons. Mário Antônio da Silva, vescovo di Roraima, in Brasile, durante la conferenza stampa, menzionando “la possibilità che persone mature, responsabili, riconosciute all’interno della propria comunità, possano essere ordinate”. “Il celibato – ha aggiunto – è un dono per la Chiesa che va considerato come qualcosa di molto prezioso, non solo come disciplina ma come grazia”.