SAN BENEDETTO DEL TRONTO – All’approssimarsi della festa del nostro Santo Patrono, nonché Eponimo della nostra Città, (13 ottobre), ci piace ricordare la nostra storia per dar seguito alle continue esortazioni del carissimo Papa Francesco di non dimenticare le proprie origini, anche per fare giustizia del precedente nostro secolo che vide un grande fervore di ricerca storica della nostra Città.
Memorie di gruppi domenicali armati di picconi e pale alla ricerca di reperti sul territorio e di continui scritti e conferenze, sono ancora presenti in alcuni di noi. Nominare tutti quelli che ci hanno lasciato documenti della nostra Sammenedette,care, bille mmine, si potrebbe incorrere in alcune spiacevoli dimenticanze. A tutti va il nostro grato ricordo.

Per una conoscenza più precisa del Castello di S.Benedetto in Albula (codice 1030), oggi denominato del Tronto, occorre anteporre qualche considerazione di ordine generale. Prima di tutto è necessario tener presente la morfologia del territorio su cui fu poggiato il manufatto delle mura e poi del Torrione, quindi il sottosuolo con tutte le ramificazioni delle grotte ed infine i vari reperti rinvenuti che testimoniano l’insediamento dell’uomo precedente  alla data del 1145, anno a cui si fa risalire l’atto di donazione  del Vescovo di Fermo Liberto ai fratelli Gualtieri.

Il promontorio, dove poi fu edificato  il Castello, aveva una conformazione adatta ad insediamenti umani, sia perché protetto per tre lati dalle acque del mare e del torrente Albula, sia per quella lingua di terra che permetteva una facile comunicazione con l’interno e lungo il crinale dei colli, specie verso il Nord. Se inizialmente il promontorio presentava una difesa naturale, nei primi secoli dopo Cristo si sentì la necessità di costruire manufatti difensivi specie a Nord-Est, sia quando iniziarono le invasioni barbariche, sia quando imperversava la pirateria sul Mare Adriatico ed infine quando i Turchi o Saraceni mettevano a ferro e fuoco ogni luogo di resistenza. Questa era la parte più  facilmente attaccabile, anche per il formarsi dei “relitti di Mare” che agevolavano l’approdo delle barche. Era la Marinuccia di cui ancor oggi si conserva il toponimo. Nel sottosuolo è stato rinvenuto, grazie anche alle ricerche fatte dall’ingegner Belcastro nell’anno 1969, ed anche per incarico dell’Amministrazione Comunale, un intrigo di grotte, tra le quali la famosa “via sotterranea” che dall’Albula portava alla tomba del Santo Protettore, grotte diffuse ben oltre la ristretta cerchia di mura costruite nel XII secolo. Basta esplorare  il sottosuolo di via Case Nuove e quello dell’odierna piazza Dante fuori dalle mura castellane, per conoscere l’ampiezza delle grotte,(presenti ancora nella memoria di molti vecchi) alcune delle quali si prolungavano verso Colle di Guardia alla sorgente dell’Albula, ed avevano sicuramente lo scopo di agevolare la fuga. Lo storico Giovanni  Guidotti scrive di aver rinvenuto, in questa zona, ruderi antichissimi, alcuni venivano ancora indicati come “muri a saracino” .

Dalla lettura dell’atto di donazione, così riportato dal Codice 1030 dell’Archivio diplomatico di Fermo, appare evidente la preoccupazione da parte del Vescovo di Fermo non solo di  rafforzare il confine dei suoi territori, ma anche di salvaguardare la Pieve di S.Benedetto  Martire, con tutti i suoi privilegi, a testimonianza di un culto tanto radicato da essere, il nome del Santo, l’unic , lungo la costa, indicativo della città.

Oggi delle antiche mura restano alcuni tratti qua e là che ci indicano una configurazione quadrangolare del Castello, con maggior sviluppo verso Est e rafforzamento a Nord-Est con il Torrione, alcuni secoli dopo, che doveva attendere a varie funzioni, in particolare alla difesa della strada di collegamento verso Nord e verso Ovest. A Sud-Est, con altre torri poi demolite, era posta l’unica Porta di accesso (Porta da Mare o Porta Vecchia) al Castello. Le mura castellane ,così come le torri, hanno subito modifiche radicali nel corso degli anni e sono state adattate per una migliore difesa contro i mezzi sempre nuovi di aggressioni belliche .Così dai conci litici e rozzo pietrame del primo muro posto a piombo, si è passati all’opus latericium con tanto di scarpatura per far scivolare le palle delle bombarde di assedio. Nel corso degli anni  anche le mura interne subirono modifiche e furono adattate alle esigenze degli abitanti, stessa sorte ha avuto il Torrione del quale, in particolare, si sentì la necessità di rafforzamento dopo le storiche battaglie tra Ascoli e Fermo del 1348. A questa data, circa, si può far risalire la struttura che oggi, dopo il restauro del 1901, possiamo ammirare.

 Sappiamo che dopo la donazione fatta ai fratelli Gualtieri (Berardo e Azzone), la “Rocca”, terminati i lavori di delimitazione delle mura castellane, fu governata da Gualtiero, figlio di Berardo che continuò a preoccuparsi della sua difesa e a dare un regolamento interno così come promesso al Vescovo Liberto. Ma ben presto gli eredi si moltiplicarono e non essendovi tra loro personaggi interessati ad accentrare la proprietà di un Castello in continua incertezza per le guerre di confine ed anche povero di risorse, divenne un bene diviso tra i vari Signorotti che ne avevano ereditato o ricevuto in dote alcune parti. Erano trascorsi appena 135 anni e già la proprietà del Castello, era rivendicata da ben otto proprietari. Tra il 1280 e il 1291,la città di Fermo, sempre preoccupata di avere un sicuro avamposto al confine Sud del suo territorio, comprò  tutte le varie eredità e ricompose l’unità del Castello. E’ interessante constatare come negli atti notarili di acquisto venissero elencate proprietà  e diritti che ci danno particolari notizie del luogo. La città di Fermo aveva acquistato: “Omnium domorum,  casarum, platearum, sylvarum, pasuum,  terrarum cultarum et incultarum,molendinorum, regalium, portus, sive ipsius pedagii, passagii, aquarum, homagii, vassallagii, fidelitatis etc.).

LA VITA NEL CASTELLO
La vita nel Castello trascorreva tra mille difficoltà ed espedienti per poter sbarcare il lunario. Spesso ci si doveva difendere dagli attacchi portati da eserciti in cerca di bottino o da bande di avventurieri come quello documentato da un manoscritto rinvenuto e poi andato perduto, negli archivi del Comune e che narra l’assedio sostenuto dalla Rocca di S.Benedetto il 26 settembre 1320 . Dalla documentazione riportata nel volume “Firmana concessionum” si avverte costantemente l’insofferenza per lo spazio troppo angusto del Castello che spesso è causa del diffondersi di malattie e per questo molte erano state le richieste di ampliamento o di modifica delle mura castellane. In una Cernita del 21 maggio 1568, si legge la concessione di un prestito di 30 fiorini disposto dalla città di Fermo “pro refectione murorum dicti Castri”.  Ancora, per quanto riguarda la trasformazione delle mura, troviamo una richiesta da parte del sacerdote don Agostino Cavallini il quale il giorno 22 marzo 1646 fece domanda di poter “far muraglia ed un ponte ed appoggiare nel muro della Comunità. In data 23 luglio 1669 i fratelli Giuseppe e Giovanni Giacomo Cavallini chiesero “di poter fabricare una loggia sopra la finestra della lor casa, situata sulle mura del Castello”. Qualche anno prima e precisamente il 1 aprile 1663 abbiamo una relazione del Capitano del Castello a favore di una richiesta della Compagnia del ss.Suffragio per edificare “un Oratorio”. Nel transunto di una Cernita del 14 dicembre 1722 si legge :” Lodo che si sbassi il Torrione che sta nelle mura Castellane di S.Benedetto fino alla volta e si copra di coppi ad oggetto di fabbricare anco il macello di detto luogo, a tenore della relazione del signor Cesare Brancadoro, con farsi tutto a spese di detta Comunità. In un rogito del notaio Anelli del 1741 si possono rinvenire tante altre notizie: ad esempio che sui “relitti del mare” i coloni abitavano nei “pagliari”; che la riva del mare era distante dalle mura del Castello circa 100 passi, che doveva esserci un rudimentale cantiere per le barche e che in esso venivano eseguiti i lavori anche per i “Forestieri”. Di particolare interesse è stato l’intervento del Giudice in data 23 marzo 1748 contro chi “si fosse trovato delinquente nella devastazione di quella Rocca”.  Nel 1750 sono concessi in uso alcuni torrioni del Castello  a tale dott. Nicola Lucarelli e al signor Tommaso Guidotti con la clausula che “la proprietà riservata sempre al nostro Publico e con obligo perpetuae manutentionis” .

Un motivo di continuo assillo per il nostro Castello, fino allo scadere del secolo diciannovesimo, è stato quello del facile diffondersi delle malattie infettive. Esse erano favorite innanzitutto dalla poca felice ubicazione del Castello stesso, intorno al quale ristagnavano le acque, formando paludi e acquitrini, rese ancora più pericolose dalla struttura muraria, insufficiente ad accogliere la popolazione in continua crescita e che non consentiva una sufficiente aerazione. In data 20 maggio 1491 alcuni ambasciatori del Castello chiesero alle Autorità “mutetur illis Porta insalubris comperta”. E dopo un tentativo di abbandonare il Castello per costruirne un altro presso monte Aquilino, la Comunità supplicava il 12 agosto 1637 ” a volerci concedere licenza di poter aprire la Porta vicino alla Rocca di quel luogo per maggior commodo e sanità del Popolo e di poter spianare e di buttare fuori si di dentro come fuori, terra e pietre, che tutto si farà con meno spesa della nostra comunità”.

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