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Suicidio assistito. Don Patriciello: “Mio fratello ci ha insegnato che si può amare la vita anche nel dolore”

Giovanna Pasqualin Traversa

“Oggi per me non è un bel giorno”. E’ preoccupato don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano (Napoli), da anni in prima linea e al fianco delle vittime della Terra dei fuochi. Il sacerdote, 64 anni, ha seguito e accompagnato nell’ultimo periodo della sua vita Nadia Toffa, volto noto de “Le iene” morta di cancro a 40 anni lo scorso 13 agosto. La sentenza della Corte costituzionale che in determinate situazioni “apre” al suicidio assistito, don Patriciello assicura che mai la giornalista ci aveva pensato. Raggiunto telefonicamente dal Sir non usa giri di parole:

“La Consulta ha dato uno schiaffo alla vita, un calcio al Parlamento –

che peraltro in un anno di tempo non ha legiferato e per questo è stato di nuovo sollecitato a farlo – e ha estromesso i cittadini dal dibattito pubblico. Come cittadino mi sento mortificato e sono moto preoccupato. Pensando alla legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza – in teoria a favore della vita, di fatto applicata solo nella parte che consente alla donna di non far nascere il bambino – temo che l’ “apertura” dei giudici costituzionali si possa ampliare anche nei confronti dei nostri vecchi, dei malati di demenza senile di Alzheimer.Quando una persona anziana si sente inutile, di peso, e magari ci sono anche problemi economici, è molto esposta al rischio di subire pressioni psicologiche e di considerare la morte come liberazione, ma è inaccettabile una norma che sancisca questa decisione estrema”.

Prima di entrare in seminario, don Patriciello ha lavorato 10 anni in ospedale come capo reparto. “Con gli ammalati – racconta – ho sempre avuto contatti. Una settimana fa sono stato a casa di una giovane signora malata di cancro, alla quale qualche anno fa è morto un bimbo, sempre di cancro, e l’ho vista contorcersi sul letto per i dolori atroci. Qui purtroppo mancano buone cure palliative e non abbiamo la possibilità di ricoverarla in una struttura dove possa riceverle. Servirebbe un rafforzamento di queste cure su tutto il territorio ma c’è il rischio che la sentenza della Consulta apra la strada a ‘scorciatoie’ molto più comode dal punto di vista economico, che in futuro si faccia sempre meno in termini di attenzione e accompagnamento del malato in fase terminale”.

Di qui una testimonianza personale: “Un mio fratello è morto di cancro nel maggio dell’anno scorso. Nel precedente mese di settembre mi dissero che era in fase terminale; invece è stato con noi ancora nove mesi:

nove mesi di vita, di speranza, di preghiera, di abbracci, di baci, di lacrime ingoiate ma anche di sorrisi.

Quando si ammala qualcuno in casa, si ammala tutta la famiglia. Ci siamo ammalati tutti insieme ma ci siamo anche uniti tutti insieme. I nostri bambini hanno compreso che la vita è bella ma è anche fragilità, malattia, sofferenza e morte. I miei nipotini hanno ‘accompagnato’ mio fratello”. E lui, “pur soffrendo moltissimo, ha sperato. Fino all’ultimo abbiamo sperato e pregato insieme e

abbiamo avuto tanti piccoli momenti di gioia perché la gioia può convivere con la sofferenza.

Noi l’abbiamo confusa con il piacere, con il demone del possedere, con il benessere economico, ma io ho trovato gioia in persone in difficoltà, disabili, ragazzi in carrozzina”. “Con mio fratello – prosegue -, nei momenti in cui il dolore si alleviava un poco, abbiamo vissuto piccoli attimi di gioia, come quando si affacciava la speranza che ci faceva dire ‘forse ce la faremo’ o quando eravamo contenti perché una notte era riuscito a riposare un po’ meglio della precedente.

Abbiamo cominciato a vivere insieme di piccole cose, a gioirne e a ringraziare il Signore”.

“Quando mio fratello era un leone, lo abbiamo vissuto di meno”, prosegue il racconto, ma quando “il cancro lo ha inchiodato ci siamo riscoperti più teneri, mano nella mano. Aveva bisogno di noi, quando ci vedeva gli si illuminava il volto e noi eravamo felici anche delle piccole cose. Lo abbiamo accompagnato pian piano alla morte. Io – rivela con emozione – sono stato accanto a lui, chiudendogli gli occhi alla fine e appoggiando la mia fronte alla sua per dirgli: ‘Tu sei andato via per primo, ma uno alla volta ti raggiungeremo’. Pur nella grande sofferenza, i suoi ultimi mesi di vita si sono trasformati in una riflessione sul mistero della vita e della morte”. “Senza togliere nulla alla gravità e alla sofferenza delle persone che vivono queste situazioni drammatiche – chiosa sottovoce il sacerdote –

mio fratello ci ha insegnato che si può amare la vita anche nei giorni del dolore”.

Momenti durissimi ma preziosi: “insegnano a ricevere con umiltà l’aiuto degli altri nei momenti di fragilità, a dire: ‘Fratello ho bisogno di te, stammi accanto’”. Istanti nei quali “la fratellanza umana si arricchisce, mentre scorciatoie come quella aperta dalla Consulta sono una sconfitta, ci fanno perdere in umanità. Oggi – conclude – per me è un giorno triste”.

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