La Chiesa guatemalteca conferma la sua forte condanna rispetto all’accordo sul “terzo Paese sicuro” firmato nei giorni scorsi dal Governo con gli Stati Uniti, che prevede la possibilità, per i migranti, di attendere nel Paese centroamericano l’esito della richiesta di asilo negli Stati Uniti.
È di venerdì scorso un comunicato della Pastorale per la mobilità umana della Conferenza episcopale guatemalteca (Ceg), firmato da mons. Alvaro Ramazzini, vescovo di Huehuetenango e responsabile della Mobilità umana della Ceg. La nota è stata emessa in occasione della visita in Guatemala del segretario Usa per la Sicurezza nazionale, Kevin McAleenan, e ribadisce la “reiterata preoccupazione che deriva dalla firma degli accordi in materia migratoria, firmata recentemente da Guatemala e Stati Uniti, e la nostra condanna per l’opacità che ha accompagnato i negoziati e la sottoscrizione dell’accordo”.
Contemporaneamente, prosegue mons. Ramazzini, “condanniamo la scelta irresponsabile, non trasparente, servile e compiacente dei funzionari del nostro Governo, coinvolti nel negoziato e nella firma degli accordi, e il silenzio e l’ostentata indifferenza di fronte alle deportazioni massive, alle morti e uccisioni di guatemaltechi lungo le strade, alle frontiere, nei centri di detenzione e di fronte alla separazione delle famiglie”.
La nota esprime, inoltre, “indignazione per la doppia morale degli Stati Uniti d’America, che parlano dei diritti umani di migranti e rifugiati, quando non hanno ratificato convenzioni e trattati internazionali così importanti in materia”. E non rinuncia a chiedere alle istituzioni guatemalteche di “applicare la legge, mettendo al primo posto il bene comune”, rigettando “qualsiasi tipo di pressione”. Intanto, una marcia per protestare contro l’accordo si è tenuta ieri a Città del Guatemala, con l’adesione, tra gli altri, della Pastorale per la mobilità umana e della Rete gesuita con i migranti.

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