MONTEMONACO – Le conseguenze del terremoto che ancora continuano a farsi sentire non hanno impedito a un popolo attaccato alle proprie tradizioni di onorare la Madonna delle Grazie lo scorso 7 luglio a Vallegrascia (frazione di Montemonaco). Guardando le foto della processione – delle quali ringraziamo la signora Sabrina Zunica che le ha scattate – vengono in mente le parole di Gustav Mahler: «Tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri».

Le manifestazioni in onore della Madonna delle Grazie hanno avuto inizio con la Santa Messa delle ore 11.00 celebrata da padre Maurizio Fioravanti, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME) nella Guinea-Bissau e originario di queste zone e più precisamente di Rivo Rosso, una frazione di Montemonaco vicina a Vallegrascia (di cui riportiamo di seguito l’omelia) ed è proseguita con la processione delle canestrelle (donne vestite in abito tradizionale che portano dei cesti da lavoro) e dei quadri viventi raffiguranti scene della vita di Maria e di Gesù: l’Annunciazione, la Visitazione, la Natività, la Presentazione di Gesù al Tempio, le Nozze di Cana, la Via Crucis, la Deposizione e l’Assunzione di Maria in Cielo.

Ecco le parole dell’omelia di padre Maurizio Fioravanti: «Tutte le volte che mi capita di commentare questo Vangelo comincio a pensare a quello che è stato l’inizio della vita di Maria, così come viene descritto nel Vangelo attraverso il brano dell’Annunciazione: Maria deve essere la Madre di Dio, accetta quello che l’Angelo Gabriele le ha chiesto e non pensa ad essere servita e riverita, ma incomincia subito una vita di servizio. La prima che ha l’onore di essere servita da Maria è Elisabetta: lei ha delle difficolta nella vita di tutti i giorni, essendo incinta e avanti negli anni, e la Vergine rimane con sua cugina per tre mesi in un tempo di servizio. Nel momento dell’incontro delle due donne incinte, Maria di Gesù e Elisabetta di Giovanni, quello che diventerà il Battista esulta di gioia. Maria porta il redentore che in un certo modo viene riconosciuto da colui che doveva preparagli la strada. Tutto questo ci fa capire come il Signore guidi la storia attraverso gli avvenimenti della storia, anche quelli apparentemente piccoli e insignificanti.

Nella prima lettura abbiamo ascoltato le parole del profeta Sofonia. Il tempo nel quale operano i profeti è un tempo difficile per il popolo ebraico, prima di tutto perché quelli che governavano avevano deviato da quelli che sono i precetti di Dio per il suo popolo e avevano introdotto altri dei, presi in prestito dai popoli confinanti e avevano disprezzato la Legge data da Mosè. Quando il popolo si trova davanti a queste persone inette, Dio dice al popolo che non sarà sempre così, perché il Signore pensa ai poveri: ci saranno tempi in cui tutti quelli che sono nemici verranno abbattuti, tutti quelli che fanno del male non ci saranno più, perché Dio manderà un suo messaggero affinché il mondo cambi e sia più giusto. Questo messaggero è proprio Gesù Cristo che si è fatto uomo in Maria. Noi viviamo un po’ l’esperienza vissuta dal popolo ebraico, ci sentiamo un po’ abbandonati qui nelle zone terremotate. Quello che accade qui accade in tante altre parti del mondo: il popolo si sente abbandonato e perde la fiducia. Ma Dio scegli gli abbandonati, i poveri, coloro che soffrono delle ingiustizie: Dio sceglie questi, non i grandi.

Nella seconda lettura, tratta dalla Lettera ai Romani, San Paolo ci dice qual è il cammino che noi dobbiamo seguire: non dobbiamo seguire quanti compiono il male, ma dobbiamo essere noi i protagonisti del bene compiendo la carità fra noi. Paolo dice che la carità non è ipocrita, non dà per ricevere, ma ci invita a evitare e a compiere il bene, amandoci vicendevolmente. È per questo che noi siamo qui: per raggiungere la meta dello stimarci a vicenda in modo da formare un unico popolo in grado di portare avanti un progetto, che poi è il progetto di Dio, col quale la vita sarà migliore. Paolo esorta a non essere pigri nel bene e a non aspettare che gli altri compiano il bene. Pensavo alla ricostruzione di questi posti e l’ho associata alle parole del Salmo che dice: “Invano il costruttore costruisce la casa se non è il Signore a costruire”. Cosa significa questo? Che il Signore si sostituisce a noi mettendosi a fare il muratore? No! Significa che il Signore suscita in noi la voglia di ricostruire: non dobbiamo aspettare che gli altri facciano per noi, ma dobbiamo fare la nostra parte».

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