“La generazione degli attuali quarantenni e cinquantenni si mostra incapace e afona nel trasmettere il Vangelo, la memoria di Gesù Cristo e la speranza cristiana ai loro figli, ai millennials immersi in una giovinezza priva di orientamenti, che pure cercano e desiderano per trovare ragioni e senso alla loro vita”. Lo scrive il fondatore della Comunità di Bose, Enzo Bianchi, sul numero di agosto-settembre di Vita Pastorale, anticipato al Sir. “La trasmissione – aggiunge – è un necessario insegnamento di padre in figlio, quale trasfusione di memoria per creare un orizzonte comune di fede e di speranza”. Cercando le cause della crisi della trasmissione, Enzo Bianchi spiega che “è dovuta anche all’incapacità di narrare, di fare memoria a ciò che ci ha preceduto, perché tutte le energie sembrano esaurirsi in un presente che non sa da dove è originato ed è incapace di proiettarsi nel futuro”. Guardando al futuro della speranza cristiana, “se le nuove generazioni sono così indifferenti alla fede”, il fondatore della Comunità di Bose sostiene che “solo con la trasmissione la fede è sottratta all’uso individualistico per trasformarsi in esperienza comune, partecipata, ecclesiale, comunitaria”. Quindi, la necessità della presenza di testimoni. “Trasmettere la fede non significa fare proselitismo. E neppure agire con la sicurezza di un metodo che si vuole efficace quale antidoto alla paura di scomparire: queste pretese forme di trasmissione risultano irricevibili”. La Chiesa italiana, secondo Bianchi, è chiamata a “interrogarsi sulla trasmissione della fede, ritrovando l’essenzialità del messaggio cristiano, nell’umiltà di un ascolto dell’umanità di oggi e non più in una postura ‘magisteriale’”. Con la consapevolezza che “ritrovare l’essenziale della fede significa operare una semplificazione dell’annuncio cristiano, dare l’assoluto primato all’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù”.