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Gaudete et exsultate: la santità è una faccenda concreta alla portata di tutti

Massimo Naro

“Gaudete et exsultate”, la nuova esortazione apostolica di Papa Francesco “sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo”, si sviluppa fra due poli strettamente connessi: la tradizione ascetica e mistica di matrice cattolica da una parte e la sua profetica rivisitazione e riformulazione dall’altra parte.
La prima emerge continuamente. Non solo nelle citazioni dei santi e dei teologi – dai Padri della Chiesa a Balthasar, passando attraverso Tommaso d’Aquino – che intarsiano il testo, ma anche in alcuni significativi modi di dire cosa siano l’esperienza credente e la santità in cui essa giunge a piena maturazione.
Un esempio: “La vita cristiana è un combattimento permanente” (n. 158), espressione che riecheggia il titolo di un classico della letteratura cattolica fiorita a cavallo tra secondo Cinquecento e primissimo Seicento: Il combattimento spirituale del teatino Lorenzo Scupoli, opera del resto molto vicina alla prospettiva ‘militante’ della Compagnia di Gesù fondata da Ignazio di Loyola. E anche il prosieguo di questa pagina dell’esortazione sembra scritta al tempo di sant’Ignazio: “Si richiedono forza e coraggio per resistere alle tentazioni del diavolo e annunciare il Vangelo”.
Un altro esempio: sintetizzando i criteri secondo cui, nei processi di beatificazione e di canonizzazione, è valutato l’esercizio delle virtù cristiane da parte di chi è candidato all’onore degli altari, il Papa arriva a scrivere che la vita dei santi è “un’imitazione esemplare di Cristo ed è degna dell’ammirazione dei fedeli”. Un’altra espressione – questa – che rievoca un modo di dire frequentissimo proprio nei processi di beatificazione dal medioevo sino ai primi decenni del Novecento:

il santo, che ricopia ‘eroicamente’ in sé l’immagine di Gesù, è “ammirabile più che imitabile”.

Tuttavia, l’aggancio – anche terminologico – alla tradizione si accompagna, nell’esortazione di Francesco, a una marcata tensione novativa, capace di attualizzare la tradizione stessa, smarcandola dal rischio della ‘musealizzazione’ (cf. n. 58) e facendole assumere i profili delle inedite situazioni in cui i credenti oggi vivono la loro sequela evangelica. Per questo Francesco insegna che la fedeltà dei santi al Vangelo è proprio da imitare e non solo da ammirare, giacché in verità è il Vangelo stesso a essere rivissuto nelle sue diverse e inesauribili sfumature. E, al contempo, gli “amici di Dio” restano per tutti noi ammirabili più che imitabili, poiché l’universale vocazione alla santità è sempre personale, individualmente calibrata, perciò singolare e peculiare, traducendosi in quelle che potremmo considerare le nostre spirituali impronte digitali. Essa, seppur donata a tutti i battezzati senza esclusione, come insegnava già il Concilio in Lumen gentium, è comunque il “progetto unico e irripetibile che Dio ha per ciascuno” (n. 170). Perciò l’ammirazione non ci spinge a imitare i santi del passato, ma a vivere a nostra volta – con un impegno profuso in prima persona e con la creatività di cui ci rende capaci lo Spirito Santo – la chiamata a essere noi stessi santi, con il timbro della nostra voce che annuncia il Vangelo e con i tratti del nostro volto che ne riverbera la luce.
Tesa fra innovazione e tradizione,

“Gaudete et exsultate” si propone come una sorta di canovaccio per un corso di esercizi spirituali, più che come un compassato documento magisteriale.

Più precisamente, come un vivace colloquio spirituale che Francesco intrattiene con ciascun lettore della sua esortazione: l’interlocuzione, impostata sull’uso della seconda persona singolare, continuamente interpella con il “tu” chi legge queste bellissime pagine del Papa. E i rimandi bibliografici, che compaiono nelle note finali, fanno intuire che forse si tratta davvero di appunti che il Papa s’è portato a Roma dall’Argentina, dove teneva di certo molti ritiri spirituali sia individuali sia comunitari.
Con questa mia annotazione non intendo far pensare a carte ingiallite dal tempo. Piuttosto voglio dire che c’è nell’esortazione apostolica il distillato di una lunga esperienza, personalmente vissuta da chi l’ha scritta, verificata tante volte nei tornanti decisivi della sua vita e nel rapporto con le persone incontrate, accompagnate, guidate lungo i sentieri del Vangelo. Una vera e propria ‘grappa spirituale’, ad altissima gradazione. Non semplici appunti per ripetere – una volta di più – un corso di esercizi spirituali, ma un nuovo percorso di vita, da intraprendere finalmente, una buona volta.
I segnavia di tale percorso sono per tutti noi preziose indicazioni:

la ferialità della santità, che è questione quotidiana, legata alle relazioni che instauriamo con gli altri e con Dio, al lavoro che svolgiamo, al modo concreto in cui viviamo in pubblico e in privato; la dimensione comunitaria – oltre che personale – della santità, vissuta personalmente, ma sempre in rapporto con tutti, nella coppia coniugale, nelle famiglie, nelle comunità religiose, nei gruppi e nelle associazioni ecclesiali, nell’assemblea liturgica e nella celebrazione eucaristica; il carattere induttivo, o storico, della santità che, seppur seminata nelle nostre esistenze dall’alto, come dono di grazia, germoglia in ogni caso dal basso, a seconda del ‘terreno’ che ciascuno di noi decide d’essere per essa.

Potremmo dire che Francesco sancisce le nuove regole in base alle quali avviare i processi di beatificazione. Sono regole che non rendono superflue quelle di prima, a cominciare dalle beatitudini, che restano la “carta d’identità del cristiano” (n. 63). Tuttavia impongono una verifica che tutti possiamo e, anzi, dobbiamo fare riguardo a noi stessi. Il Papa le illustra nel quarto capitolo, dove parla di “alcune caratteristiche della santità nel mondo attuale”: “sopportazione, pazienza e mitezza”, “gioia e senso dell’umorismo”, “audacia e fervore”, attitudine “comunitaria” e “preghiera costante”. E così la santità si rivela una faccenda concreta, alla portata di tutti.

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