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Fede e cultura: don Falabretti (Cei), “don Primo Mazzolari, un grande maestro”

“Non ricordo di essere mai salito sulle spalle di qualcuno: le mie dimensioni, fin da piccolo, non mi permettevano questo esercizio fisico. Ma – per fortuna – la dimensione spirituale ha un peso diverso e questo sì, lo ricordo bene: da giovane sono salito sulle spalle di alcuni maestri che mi hanno accompagnato per tutta la vita. Don Primo Mazzolari è stato uno di loro, forse per me il più significativo”. La rivista storica “Impegno”, promossa dalla Fondazione Mazzolari, riporta una densa testimonianza di don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale giovanile della Conferenza episcopale italiana, sulla sua “conoscenza” dell’arciprete di Bozzolo e in quale misura questa abbia segnato il suo percorso sacerdotale. “A catturarmi fu un titolo: ‘Obbedientissimo in Cristo’. Perché ‘obbedientissimo’? A me sembrava che obbedienti lo si è, oppure no: molto e poco non potevano entrare in un atteggiamento che non prevedeva (ai miei occhi di adolescente) sbalzi di intensità. Così quel libro finii per leggerlo, incuriosito da un carteggio dove mi sembrava di assistere a una specie di battaglia: l’istituzione rappresentata dal vescovo e la libertà di un prete che rivendicava il diritto di aprire il cuore”. Il nuovo numero della rivista viene presentato a Udine a margine del convegno annuale di due giorni promosso dalla Fondazione, assieme all’Istituto storico friulano per la Liberazione sul tema “Dalla Trincea alla parrocchia: il ritorno dalla Grande guerra e la memoria” (Sala del Consiglio, Palazzo Di Toppo Wassermann, Scuola superiore dell’Università degli Studi di Udine).
Don Falabretti segnala le sue letture mazzolariane, per poi affermare: “Credo che quelle parole abbiano seriamente lavorato dentro di me e scavato a fondo, anche se non vuol dire che oggi mi senta di averle sempre trasformate in vita vissuta. Anzi: la forza propulsiva, l’ansia pastorale, il cuore di parroco e pastore conosciuti durante quelle letture rimangono un obiettivo a cui tendere, ma purtroppo ancora un miraggio se devo fare un bilancio delle mie azioni”. Osserva: “Furono, ovviamente, gli anni del seminario maggiore quelli che mi portarono ad incontrare gli scritti pastorali di don Primo, quelli più intensi e soprattutto quando furono pubblicati, discussi: mi lasciai affascinare da un ideale di prete che puntava alla solidarietà con i poveri e gli ultimi; che non si lasciava distrarre da uno stile mondano in favore di una dedizione forte e totale al Vangelo. Mi segnò profondamente il grande senso di misericordia verso i poveri e la gente semplice che trapelava da quelle pagine; insieme a intransigenti sferzate verso la superbia degli uomini, senza risparmi per il mondo ecclesiastico. E insieme a un grande amore per la Chiesa”.

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