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“Strana… mente Artista” a tu per tu con Americo Marconi

Di Carlo Gentili

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Abbiamo intervistato per la nostra rubrica Americo Marconi

Perché l’artista crea? Perchè il poeta o lo scrittore affidano ad un foglio i propri pensieri?
Credo che dobbiamo far riferimento all’Homo sapiens quando nel paleolitico superiore, circa 20.000 anni fa, iniziò a dipingere grotte ed antri con scene di caccia. I paleoantropologi vedono in quel momento il “grande balzo” cioè l’inizio della funzione simbolica nella mente umana: l’uomo diede un significato più ampio ai fenomeni che osservava.
La scrittura fu scoperta molto più tardi, intorno al 3.000 avanti Cristo, nell’area della Mezzaluna fertile incisa su tavolette di terracotta e di certo la prima saga letteraria dell’occidente è quella di Gilgamesh. Eroe che, dopo aver visto morire il compagno Enkidu, cerca l’erba dell’immortalità, la trova ma poi la perde e torna alla sua città-stato Uruk accettando il destino di ogni altro uomo.
L’artista attraverso le varie arti pose, e continua a porre, le domande fondamentali seguendo un irresistibile impulso interiore che gli fa ritrarre e descrivere la realtà com’è e soprattutto come vorrebbe che fosse; interprete sensibile e puntuale delle esigenze del suo tempo.

Scrittore di libri, di racconti brevi, di saggi: come è nata in te la passione per lo scrivere?
Il mio rapporto con la scrittura è stato un rapporto sofferto. Alla scuola media avevo una grande fantasia e già scrivevo per gli amici brevi racconti gialli ma sui compiti in classe non riuscivo a rimanere in tema e disseminavo di errori i componimenti; forse per l’abitudine, sempre avuta, di parlare anche il dialetto. Insomma fin dal primo anno andavo a ripetizione di italiano e attraverso una grande applicazione riuscii ad imbrigliare la mia esagerata fantasia e scrivere correttamente. Ma continuavo a correggere in continuazione ciò che scrivevo, tanto che alla fine non mi raccapezzavo più. L’uso del computer ha rivoluzionato positivamente il rapporto che ho con la parola scritta: non vedendo più le cancellature è cresciuta la fiducia e l’ordine, tanto che poi sono riuscito addirittura a scrivere libri.

Se dovessi spiegare in poche righe il tuo pensiero filosofico ad un ragazzino, cosa gli diresti?
Innanzi tutto gli raccomanderei di studiare molto, in maniera divertente e interessante, ma studiare. Solo da uno studio attento e continuo nasce un sapere e una filosofia personale. Di non dare mai nulla per scontato soprattutto in questa epoca digitale. Controllare le fonti: non bastaWikipedia che, pur utilissima, cela molti errori. Rispettare l’uomo e conoscere le sue civiltà con le mitologie, le religioni, le letterature, le manifestazioni artistiche e scientifiche. Un lavoro apparentemente gigantesco ma idealmente necessario. La nostra è un’epoca fatta di velocità in cui prima di pensare già parliamo, o digitiamo una risposta se non più risposte contemporaneamente. Ricordare la regola della tre fasi: studio, pensiero, parola.

Sei un “innamorato” delle montagne e dell’alpinismo fino a diventare Medico al Soccorso Alpino e Speleologico. Ce ne parli?
Certo è singolare che uno che nasce davanti al mare s’appassioni alle montagne. Tutto merito dei vari sacerdoti e dei loro campeggi dove i nostri genitori c’inviavano, per respirare un po’ d’aria buona e renderci più autonomi. Ricordo come ci abituavamo allo sforzo, alla fame e alla sete durante una lunga escursione. La prima cima fu quella del Monte Vettore a 11 anni con don Natale e per la soddisfazione e stanchezza mi ci addormentai beato. Verso i venti anni con tanto di macchina, la mitica 500, iniziai l’esplorazione sistematica dei monti Sibillini prima, del Gran Sasso poi. Lì vidi persone legate a delle corde su pareti verticali. M’iscrissi ad un corso introduttivo di alpinismo ed iniziai ad arrampicare, poi la salita dei primi 4000 metri: il Gran Paradiso e il Monte Rosa. Erano anni di fughe in montagna e grande libertà, certamente anni felici e spensierati. Una volta diventato medico e conoscitore del territorio montano fui accettato nel Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico nella Stazione di Ascoli Piceno.

Hai viaggiato molto e sei rimasto attratto dalla cultura orientale (Buddhismo) tanto da divenire un esperto in filosofie orientali. Secondo te c’è un legame tra Montagna e Spirito?
Il viaggio in Nepal fu la scoperta di un altro mondo. Quando arrivai trent’anni fa gli abitanti erano estremamente miti e bastava lasciare i pochi centri abitati e inerpicarsi sui sentieri per incontrare persone, in maggioranza donne, con gerle pesantissime che trasportavano bambini e provviste verso i villaggi. Appesa al collo e nei monasteri la mala (il loro rosario) a 108 grani e dovunque si leggeva e si recitava il grande mantra: «Om mani padme hum» (possa l’incomparabile gioiello svilupparsi nel loto del cuore). Su tutto e tutti si allargava lo sguardo compassionevole del Buddha, dipinto nella parte alta di grandi Stupa (i loro templi). Merletti di montagne altissime chiudevano l’orizzonte.

Una volta in Italia cercai di capire ma il Buddhismo del Nepal, che è quello dei tibetani, è tra i più complessi. Andai più volte al monasteroLama Tzong Khapa di Pomaia ma il velo dell’ignoranza, a dirla in modo buddhista, iniziò a lacerarsi solo quando decisi di frequentare e diplomarmi alla scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa di Urbino legata all’Università di Urbino. Ampliando il lavoro di tesi sulle montagne sacre ricavai La Montagna Infinita pubblicato con Pazzini Editore. Un libro sulla sacralità della montagna nelle varie tradizioni religiose. Ed in questo testo dimostro ampiamente come il legame tra lo spirito e la montagna sia strettissimo. L’uomo nel salire un’altura, una montagna, proprio per quella capacità simbolica di cui parlavamo all’inizio, sente che si avvicina al cielo; che raggiunge uno spazio lontano e sacro in cui abita il silenzio. Come raccomanda il mistico e medico Angelus Silesius, intorno al 1675, nel suo capolavoro Il Pellegrino Cherubico: «Va là dove non vuoi! Guarda dove non vedi! Dov’è il silenzio ascolta: è lì che parla Dio».

Hai scalato il Kilimanjaro, ma la Sibilla è la tua “montagna interiore”, vero e proprio axis mundi personale.
Agli inizi degli anni 90 partii con Avventure nel Mondo per salire il Kilimanjaro in Tanzania.
Ero il medico (nella lingua swahili mganga) della nostra piccola spedizione: eravamo in quindici tra uomini e donne, con i portatori arrivavamo a venticinque persone. La salita non è tecnicamente complessa, almeno lungo la Marangu Route che è la via normale. Si passa dalla foresta piena di voci notturne al deserto di quota. Nelle orecchie ho ancora la raccomandazione continua dei portatori: «Pole, pole» (piano, piano). L’altitudine, con la sua carenza di ossigeno, e le basse temperature sono i veri ostacoli da affrontare lungo la salita che dura una settimana. Difatti solo due di noi riuscirono a raggiungere la punta Uhruru coi suoi 5895 gli altri rinunciarono sulla punta Gillman di mt 5685. Io fui tra gli sconfitti: stavamo sui -25 gradi, le pedule erano troppo leggere e non sentivo più le dita dei piedi, oltreché un giovane amico iniziò ad avere problemi di altitudine ed in quei casi bisogna aiutarlo a scendere subito. Così, proprio con i più esperti di montagna del gruppo, decidemmo di iniziare la discesa.
La Sibilla invece è il monte che più ho salito nel gruppo dei monti Sibillini in estate, in inverno, spesso da solo, l’ho anche sorvolata in elicottero durante alcuni salvataggi. Negli anni ho raccolto abbondante letteratura sulla figura della profetessa Sibilla. Un mito che nasce lontano: nella zona del santuario di Delfi; da Delfi con i coloni raggiunge Cuma. Sulla nostra penisola assume vari nomi: Cumana, Cimmeria, Tiburtina. La Sibilla Appenninica, già conosciuta ai Romani, nel Medioevo si trasforma in maga e con le sue ancelle cerca di convincere i cavalieri a rimanere nel suo regno di piacere. Intrecciando la sua storia con quella dei negromanti che salivano al lago di Pilato per consacrare i libri del comando.
Una montagna salita così tante volte, in diverse età; spunto di riflessioni e studi; fonte di forti emozioni e sogni diviene un autentico asse del mondo (axis mundi), del tuo mondo interiore e finisce per sorreggerti nei momenti belli e soprattutto nei momenti difficili. Da tutto ciò è nato il libro La Sibilla edito con Marte Editrice nel 2016.

Hai curato anche La pazienza di Sant’Agostino….
Sant’Agostino è un pensatore affascinante: uomo romano, proveniente da altre regioni e religioni che arriva in Italia con tanto di moglie e figlio, nell’ascoltare il vescovo Ambrogio a Milano capisce qual è la via da seguire: si converte e si fa battezzare, è la notte di Pasqua del 387. Usa spesso nella scrittura dei suoi innumerevoli testi una forma dialogica, piena di tormento, che ne determinerà la fortuna nei secoli. Si afferma cheLe confessioni siano, dopo la Bibbia, il libro più letto del mondo. Avevo scoperto La pazienza, scritta da Agostino vescovo intorno al 417 dopo che era tornato in Africa e stava preparando La città di Dio, il suo ultimo capolavoro.
Nel frattempo subii un intervento chirurgico e le sequele mi disturbavano molto. Fu allora che decisi di sistemare la breve opera tradotta in italiano e darla alle stampe sotto forma di quaderno con Fast Edit. Come scrivo nella premessa: «Io, che mi ero ritenuto sempre esente da paura, temevo che tali sintomi potessero non scomparire. Ebbi modo di capire che la pazienza mi era meno congeniale del coraggio. Ed iniziai a riflettere su questa virtù, difficilissima da coltivare e sviluppare».
Il quaderno è stato amatissimo, nelle sue tre ristampe, e spesso incontro amici e amiche che mi confidano che lo stanno rileggendo per la terza, quarta volta.

Pensatori, filosofi e scrittori: quali i tuoi “maestri”?
«Siamo nani sulle spalle di giganti» disse Bernardo di Chartres nel XII secolo «così possiamo vedere più cose di loro non per la nostra altezza ma perché siamo seduti sulle loro spalle». E questa citazione sintetizza il mio atteggiamento di umiltà nei confronti di chi ha pensato, scritto, prodotto opere d’arte, portato avanti la scienza prima di me.
Innanzi tutto il greco Platone del V secolo avanti Cristo. Di Platone ho a cuore il Simposio, mai abbastanza meditato, sui gradi della bellezza e sull’amore.
Arthur Schopenhauer poi che nel Mondo come volontà e rappresentazione del 1819 reagisce all’idealismo imperante e, primo autore occidentale, fa suoi i principi del pensiero indiano.
Mircea Eliade nel novecento fonda una vera e propria ermeneutica del sacro. Amico del marchigiano e orientalista Giuseppe Tucci, pubblica ilTrattato di storia delle religioni che sposta in avanti lo studio sul mito il simbolo e il sacro.
Carl Gustav Jung, psichiatra e psicoanalista, con la sua opera nell’Uomo e i suoi simboli del 1967, che leggo e rileggo da quarant’anni, dice: «Una parola o un’immagine è simbolica quando implica qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio e immediato». I simboli che ricorrono nei miti, nei riti, nelle religioni della storia dell’umanità vengono collocati da Jung in uno strato sottostante l’inconscio individuale chiamato inconscio collettivo. Il mandala (cerchio sacro) dell’Oriente, che poi è la stessa figura dei rosoni nelle chiese, è per Jung l’immagine del Sé, la parte più centrale e ordinatrice della psiche. Ed io da Kathmandu riportai, tra grandi e piccoli, ben venti mandala.

Lo scrittore Jorge Luis Borges con la sua scrittura fantastica e perfetta di Finzioni, nella traduzione di Franco Lucentini. Chi di noi leggendolo non ha desiderato perdersi nel «numero indefinito e, forse infinito, di gallerie esagonali» della Biblioteca di Babele?

Margaret Yourcenar e Le memorie di Adriano, una lunga lettera sotto forma di prosa poetica che Adriano scrive a Marco Aurelio. Richiama alla mente l’iscrizione presente nella Chiesa di San Martino a Grottammare in cui si legge che Adriano nel 127 restaurò il tempio della dea Cupra.

L’ultima scoperta è il giovane Paolo Cognetti con Le otto montagne un libro di formazione in cui la montagna e la sua natura educano alla vita il giovane Pietro nel complesso rapporto col padre e con l’amico Bruno. Proprio in Nepal Pietro scopre il mandala delle otto montagne in cui l’ottava montagna, quella che sta al centro, è il monte Sumeru: la montagna cosmica e sacra di tutto il Buddhismo. Poteva non appassionarmi questo romanzo? Sembra però che non abbia appassionato solo me avendo vinto vari premi tra cui lo Strega 2017.

I tuoi ricordi più belli legati all’arte, alla cultura. Il riconoscimento più gradito?
Nel 2014 la presentazione della Montagna Infinita alla sezione CAI di Trieste Società alpina delle Giulie con Spiro Dalla Porta Xydias, un accademico CAI che mi volle nel GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna) e che spese parole indimenticabili per il mio libro. Da poco scomparso alla soglia dei cento anni, aveva la stessa età che avrebbe avuto mio padre.
Quest’anno l’invito come mediatore religioso, sul tema Spiritualità e montagna, a rappresentanza della Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa di Rimini, a due incontri nel Monastero di Fonte Avellana e il comune di Frontone tra il priore Gianni Giacomelli, la monaca buddhista Cristiana Ciampa Tsomo e il lama tibetano Namkha Gyatso Rinpoche.

Interessi, progetti, visioni per il futuro. Il libro che vorresti scrivere…
Essere presente, come sto facendo, a incontri culturali e congressi che trattano di letteratura, filosofia, arte, scienza.
Riuscire a terminare il libro a cui sto lavorando da anni: sulle piante, i fiori, le erbe con le loro proprietà curative e il loro significato magico simbolico. Proprio in omaggio al cognome che porto, Marconi. Un gruppo famigliare che si stabilì nella zona Tesino sud a Grottammare verso la fine del 1600 ed iniziò a coltivare dapprima ortaggi poi piante ornamentali. La difficoltà sta nel consultare un enorme materiale bibliografico; ma ce la farò a salire anche questa montagna di libri con sulla cima l’albero della vita.

Poniti la domanda che avresti voluto ricevere … (e poi rispondi)
Una domanda sull’importanza dell’amore… E la risposta sarebbero le parole di Virgilio che posi in esergo al libriccino Centuria di Amore in sms dedicato a mia moglie Diana: «Omnia vincit Amor et nos cedamus Amori / Tutto vince l’Amore e noi cediamo all’Amore».

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