A cura di Carlo Gentili

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Abbiamo intervisto Salvo Lo Presti

Perché l’attore? Chi è l’attore?
Nel corso della storia del pensiero teatrale molti studiosi, registi, attori, ben più importanti di me, hanno cercato di rispondere a questa domanda. Credo che non esista una regola. Probabilmente la giusta cifra sta nel miscelare al meglio queste due opposte tendenze: il teatro è finzione ma non può risultare falso. La natura ontologica del teatro fa sì che esso si possa manifestare solo nel momento stesso in cui si porta in scena uno spettacolo e ciò può, ovviamente, accadere soltanto in presenza del pubblico che, a sua volta, va a teatro in cerca di emozioni. In ultima analisi, dunque, credo che il teatro, così come ogni forma d’arte, debba suscitare emozioni (di qualsiasi natura). L’attore deve aspirare a questa tensione e la sua tecnica deve semplicemente piegarsi a un obiettivo comune, mettendosi a disposizione per la miglior realizzazione possibile dello spettacolo che rimane pur sempre l’obiettivo principale da raggiungere.

Non credo che tutti gli attori siano artisti; come distinguere l’attore artista?

Mi sento più un artigiano che mette a disposizione il suo piccolo sapere al servizio del lavoro che si prepara. Per rispondere alla prima parte della domanda, prendo in prestito il pensiero di un maestro del Novecento teatrale, Stanislavskij, il quale, nella sua riforma del teatro dell’epoca affermava che: “non esistono piccole parti ma piccoli attori”. In generale diffido molto da chi si auto proclama “artista”.

L’attore è colui che fa, che abita la scena, che accoglie e incarna emozioni e sensazioni senza, tuttavia, lasciarsi schiacciare da esse, che guida il pubblico in un percorso di conoscenza e rivelazione, lasciando trasparire, in ultima analisi, la sua umanità.

Se dovessi spiegare in poche righe il tuo pensiero artistico ad un ragazzino, cosa gli diresti? Come trasmettere la bellezza del teatro ai giovani? Quali mezzi e strategie utilizzare? Quali i vantaggi?  Valore formativo da perseguire?

Rischio di essere tautologico ma per trasmettere la bellezza del teatro ai giovani è necessario portare i giovani a teatro. E in questo sia la scuola sia la famiglia dovrebbero essere responsabilizzate. Sono convinto che la scuola ricopra un ruolo fondamentale in questo tipo di educazione ma certo non si può pensare di demandare tutto all’ambiente scolastico: l’ambito familiare rimane decisivo nella crescita culturale dei giovani. Il teatro ragazzi è una splendida opportunità che va sfruttata e incoraggiata ma, per funzionare al meglio, dovrebbe avere una continuità lungo il percorso di crescita dello spettatore. Il teatro ha bisogno di un pubblico nuovo che va formato giorno dopo giorno o, meglio, spettacolo dopo spettacolo. Volendo generalizzare, l’età in cui si “perde” il pubblico coincide, in linea di massima, con l’adolescenza. E forse ciò dipende anche da un’offerta artistico-culturale non adeguata. Qualcuno si riaffaccia al teatro dopo qualche anno, qualcuno si perde irrimediabilmente. La vera funzione che i vari laboratori di teatro per bambini e ragazzi dovrebbero avere, secondo me, non è tanto quella di formare piccoli attori in erba (per quello ci sarà tempo), quanto di creare nuovi appassionati di teatro che riempiranno le sale negli anni successivi.

A un ragazzino direi che credo nell’amore, nella semplicità, nel coraggio, nell’umiltà. Poi aggiungerei che questi sono dei concetti astratti che idealizzano questa attività e che non sempre si riesce ad applicarli tutti contemporaneamente. Gli direi che la cosa fondamentale è il lavoro, la fatica che si fa ad andare avanti, giorno dopo giorno, che ci vuole applicazione. Gli direi che, in un modo o nell’altro, se lavori seriamente, le soddisfazioni arrivano.

Il teatro e il cinema nelle scuole: nuovi canali di diffusione video e nuovi linguaggi.

Nel corso degli anni ho avuto diverse esperienze nelle scuole sia come attore (presentando degli spettacoli ai ragazzi), sia come insegnante di progetti laboratoriali, e ho capito una cosa fondamentale: i ragazzi vanno prima di tutto incuriositi. Come spesso accade nei normali incontri tra persone, le prime sensazioni sono quelle che indirizzano il rapporto. E lo affermo con cognizione di causa, visto che, sinceramente, soprattutto all’inizio, le cose non sono andate sempre come avrei desiderato. I linguaggi che si usano, probabilmente, sono quasi intercambiabili: quello che conta davvero sono l’applicazione e l’impegno che si mettono per realizzare ciò che si è programmato. Perché i ragazzi “fiutano” tutto, sentono ogni cosa e quindi bisogna essere sempre pronti a cambiare rotta, seguendo l’ispirazione del momento. Certamente ci sono scuole che credono e investono in maniera adeguata in iniziative extra didattiche, cercando di arricchire la formazione dei ragazzi mentre altre lo fanno molto meno o per niente. La differenza, come sempre accade, la fanno le persone che abitano un luogo o un’istituzione e che la fanno vivere secondo il proprio credo. Le opportunità economiche per i vari istituti, anche in questo periodo di ristrettezze economiche, ci sono comunque ma non tutti dedicano la stessa attenzione a questo tipo di attività.

 

Nel 2015 hai pubblicato Diario, il tuo primo libro di poesie. Con quali riferimenti, linguaggio poetico, musicalità o simbologie caratterizzi la tua arte poetica?

La mia poesia è caratterizzata dall’essere scarna: utilizzo poche parole cercando la maggior efficacia possibile. Ogni parola ha un peso specifico che deve essere controbilanciato dalle altre, che deve portare musicalità al verso, che deve incidere nella lettura. La scrittura, così come il teatro, ha bisogno di essere allenata di continuo. Per questo motivo trovo determinante nel mio percorso poetico, la collaborazione con la redazione di UT – Rivista d’arte e fatti culturali di San Benedetto del Tronto, iniziata poco più di un anno fa. La rivista ha cadenza bimestrale e ogni numero ha un tema al quale bisogna attenersi per la pubblicazione. Questa piccola “costrizione”, con scadenze prestabilite, fa sì che l’applicazione sia totale e mi permetta di raggiungere obiettivi che, quasi sicuramente, non mi sarei nemmeno posto.

 

Stai conducendo un laboratorio di poesia e scrittura dal titolo EmozionArti presso l’ISC Da Vinci – Ungaretti di Fermo. Ce ne parli?

EmozionArti è un progetto nato da un incontro tenuto lo scorso anno in una classe che stava già affrontando, guidata dalla loro insegnante di Lettere, un percorso poetico mirato alla composizione di testi poetici che sarebbero stati presentati durante un incontro con tutta la cittadinanza. L’entusiasmo dei ragazzi è stato talmente forte e contagioso che ci ha fatto convincere a far partire, in quest’anno scolastico, un progetto molto più articolato, riservato alle terze classi della scuola secondaria di primo grado, che avesse come nucleo l’espressione emotiva dei ragazzi coniugata con il linguaggio poetico. A conclusione del progetto verrà realizzata una pubblicazione cartacea e una in formato digitale che testimonieranno il percorso fatto dagli allievi durante questi mesi di lavoro. Aver fatto partire questo progetto è stato un segno di grande coraggio da parte dell’istituto: la poesia non è sufficientemente “popolare” tra i ragazzi ma l’impegno e i risultati che stanno raggiungendo sono davvero degni di nota. Devo ringraziare pubblicamente la Dirigente scolastica, Marinella Corallini, che ha voluto fortemente inserire questo laboratorio all’interno dell’attività scolastica, la professoressa Francesca Porto che è stata promotrice attiva di EmozionArti e le insegnanti Matilde Coccia, Arianna Tiburzi, Manuela Dini, Emanuela Basso, Claudia Lucentini che hanno accolto a braccia aperte il lavoro e che si rendono disponibili, incontro dopo incontro, per la miglior riuscita possibile del laboratorio.

La soddisfazione più bella che hai raggiunto od ottenuto attraverso il teatro. Il ricordo più bello.

Non ho un ricordo più bello. La bellezza arriva ogni volta che, fuori scena, ascolto il pubblico entrare in sala e mi preparo a vivere quell’esperienza insieme a loro e ai miei compagni di scena.

Stai preparando uno spettacolo che debutterà ad aprile 2017 ed inoltre stai preparando un concerto poetico con i testi della tua raccolta poetica con musiche originali. Ce ne parli?

Lo spettacolo che debutterà ad aprile 2017 sarà Ospiti di Angelo Longoni per la regia di Alessandro Rutili. I miei compagni in questa avventura saranno Carla Civardi (con la quale condivido la scena ormai da diversi anni con svariati progetti) e Marco Tombolini. Con questo spettacolo tornerò finalmente sul palco con la Compagnia Espressioni Teatrali che tanto successo sta avendo con lo spettacolo Ti amo… o qualcosa del genere. Inoltre, da quest’anno, il regista e fondatore della compagnia, ha assunto la direzione artistica della stagione teatrale del Teatro dell’Iride di Petritoli. Lo spettacolo segue le vicende dei tre protagonisti che daranno vita a un intreccio che li porterà a svelarsi nella loro intimità senza, però, tralasciare dei momenti di sincera ilarità.

L’idea del concerto poetico è nato dall’incontro con Filippo Piunti, cantante dei Sargano, progetto alternative rock del Piceno. Dopo poco tempo mi è apparso chiaro che avrei voluto coinvolgerlo nella mia idea di mettere in musica le poesie di Diario. Sin dalle prime battute anche il bassista del gruppo, Mirko Capretti, si è immediatamente appassionato a questo lavoro, componendo la parte musicale dello spettacolo. La formazione è aperta: infatti anche Mattia Valentini (l’anima “elettronica” dei Sargano) e Claudio Leonelli, (batterista) stanno fornendo degli input preziosi agli arrangiamenti. L’idea è quella di far intrecciare le parole poetiche di Diario con le sonorità originali dei Sargano dando vita a un concerto poetico che, speriamo, suggestionerà il pubblico.

Arte e spiritualità, misticismo, religiosità: cosa ti affascina maggiormente? Nel teatro hanno un senso? Un futuro?

Il teatro, l’arte in generale, è strettamente collegato con la spiritualità che, però, per me non coincide con la religione e con i suoi dogmi. La spiritualità ha a che fare con l’anima, con il nostro modo di sentire le cose e di volerle esprimere attraverso una tecnica che contraddistingue ogni singola forma artistica. Il teatro è il luogo abitato dalle ombre che si manifestano facendosi carne nel corpo dell’attore, entrando in comunione col pubblico. È un luogo sacro che va onorato e rispettato, è un luogo di sacrificio e gioia, di condivisione e amore, di lacrime, di poesia.

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E-mail: salvolopresti@gmail.com

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