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Trent’anni fa l’alluvione in Valtellina, dove la solidarietà ha vinto

Di Michele Luppi

“I secoli di storia della Valtellina sono stati secoli di dolore e di tragedia, ma la sua gente ha in sé una grande forza, sorretta anche dalla fede e riprende a rivivere con l’ostinazione dei forti”. L’allora vescovo di Como, monsignor Teresio Ferraroni, nel luglio del 1987 scriveva così all’indomani di quella che è passata alla storia come l’Alluvione della Valtellina: un insieme di piogge, esondazioni e frane che provocarono la morte di 53 persone, facendo danni per 4mila miliardi di lire. Rileggere queste righe all’indomani del trentennale della tragedia che verrà celebrato domani, con la visita del capo dello Stato, Sergio Mattarella, è un modo per rendere onore a quanti, a partire da quel giorno, si sono rimboccati le maniche per restituire borghi e strade alla vita.
A percorrere oggi la strada statale dello Stelvio che attraversa l’intera provincia di Sondrio, da Colico fino ai valichi alpini, viene da pensare che gli sforzi di questa gente siano stati premiati perché

la valle è rinata e oggi di quei fatti resta solo il ricordo.

Il primo evento tragico si verificò in Val Tartano, il 18 luglio, con il crollo del condominio “La Quiete” che si abbatté, a sua volta, sull’albergo “Gran Baita”. Furono i primi 11 morti. A provocare il crollo le ingenti piogge delle settimane precedenti che avevano interessato tanto il fondovalle quanto i ghiacciai più alti, dove le temperature erano eccezionalmente elevate (lo zero termico si registrava sopra i 4mila metri). Lo stesso giorno, il fiume Adda ruppe l’argine settentrionale poco a ovest di San Pietro di Berbenno, allagandolo e coinvolgendo anche i comuni di Ardenno, Fusine, Selvetta e Cedrasco. I collegamenti stradali e ferroviari lungo la valle furono interrotti e migliaia di persone restarono isolate.

Ma la pagina più triste di questa tragedia doveva ancora essere scritta: la frana della Val Pola. Alle 7.23 del 28 luglio una frana – 40 milioni di metri cubi di roccia, terra, fango e alberi – si staccò dal Monte Zandila. La velocità e la forza con cui questa enorme massa arrivò nel fondovalle fu tale che la frana risalì lungo il fronte opposto del pendio travolgendo gli abitati di Sant’Antonio Morignone e Aquilone, frazioni del comune di Valdisotto. Sette operai che erano giunti in paese per svolgere lavori di ripristino della statale furono travolti. Il bilancio avrebbe potuto essere decisamente maggiore se le autorità non avessero imposto l’evacuazione della zona. Ma, sfortunatamente, la portata della frana e lo spostamento d’aria generato fu tale da interessare anche zone ritenute fuori pericolo. I morti furono 35.

A ricordo delle vittime, nei pressi della frazione Aquilone, mai più ricostruita, sorge un piccolo monumento. È qui che nel giorno dell’anniversario è atteso il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella. Il capo dello Stato arriverà, alle 11, per un momento commemorativo insieme alle autorità. Un’ora dopo nella chiesa di Cepina il vescovo di Como, mons. Oscar Cantoni, celebrerà una Messa di suffragio al termine della quale verranno letti i nomi delle 53 vittime insieme a quelli dei 5 morti della Val Brembana.

“L’alluvione è una ferita ancora aperta – ha dichiarato al Sir il vescovo di Como, mons. Oscar Cantoni alla vigilia del 18 luglio – ma ha vinto la solidarietà e il desiderio di prendersi cura degli altri e di assumere una nuova responsabilità nei confronti del creato, di cui siamo custodi. È stata offerta una splendida testimonianza di fede”.

Sono molti in queste ore a ricordare quei giorni. Mons. Carlo Calori nel 1987 era il direttore del settimanale della diocesi di Como. “Negli ultimi giorni di luglio – racconta Calori – come accade normalmente, la redazione era ormai chiusa. Ma con un rapido tam tam ci si radunò tutti, si trovò una tipografia che si aprisse per stampare un’edizione speciale e se ne distribuirono le copie percorrendo le vie praticabili della bassa valle, del centro e raggiungendo il bormiese attraverso il passo della Forcola e Livigno. Ricordo le testimonianze raccolte in quell’occasione, come quella di un anziano di S. Antonio Morignone, che alla domanda su quali fossero i bisogni più urgenti rispose: ‘Non ci manca nulla perché abbiamo perso tutto…’”.

La mobilitazione civile e religiosa nei mesi successivi fu grande: la diocesi lanciò subito una colletta in tutte le parrocchie per sostenere le comunità segnate dall’alluvione. Ma a colpire fu soprattutto il sostegno umano portato da centinai di volontari che dal comasco e dalla bassa Valtellina partirono diretti nelle zone maggiormente devastate. Fino alla storica marcia della fede di fine settembre 1987: 15mila persone, venute dalla Valtellina, dalla Valchiavenna e dal comasco che percorsero a piedi e in preghiera i chilometri che separano il Santuario della Madonna di Bianzone a quello della Madonna di Tirano, patrona della Valtellina. Un segno tangibile di una comunità che – pur nel dolore – iniziava a rimettersi in cammino.

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