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“Strana… mente artista”, a tu per tu con Antonio Biocca

di Carlo Gentili

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Questa settimana abbiamo intervistato il fotografo

Perché si diventa fotografi? Mi piace scattare foto, ho avuto da sempre questa passione. Ricordo che quando la Sambenedettese militava in serie B e la Juventus giocava al Ballarin scattavo le foto ai giocatori dalla tribuna. La macchina fotografica era di mio fratello Franco, ma la usavo principalmente io, mentre lui era più attratto dalla realizzazione di filmini in super 8. Fare foto e svilupparle in quegli anni costava un bel po’, allora ho imparato a studiare bene l’inquadratura e lo sfondo prima di scattare una foto. Non avevo un soggetto specifico: il mare, la spiaggia, la campagna, le cassette di pesce, il paese alto di Cupra Marittima, il castello di S. Andrea. Ora, con la digitale, di foto preferisco farne tante; credo sia una reazione a quando le foto si sviluppavano con costi abbastanza alti, quindi mi frenavo e dovevo stare attento alle spese.

Qual è il tuo approccio con la foto?  La fotografia è la mia passione principale. Io credo che il pittore abbia un’idea precisa in mente prima di dipingere, mentre il fotografo attende pazientemente che un oggetto da fotografare lo colpisca, rappresenti qualcosa di significativo. Il fotografo ha uno sguardo ampio, maggiore rispetto all’obiettivo. Quando vado in campagna a fotografare, ogni tanto mi volto all’indietro per osservare da un’angolazione nuova e diversa il percorso fatto. Questa è una mia peculiarità: guardare indietro, voltarsi per osservare il panorama che lasci alle spalle e che merita un’osservazione diversa, nuova.

Hai una modalità di riferimento, un metodo? Non utilizzo il metodo fotografico dei 2/3, ma uso la scena libera, cioè seguo l’istinto, l’occhio. Prima di scattare guardo l’insieme, focalizzo l’attenzione su un punto che mi ha colpito e solo allora scatto.  Credo che l’occhio sia tutto per la foto, ti fa vedere le cose già prima di vederle realizzate in foto. A volte anche un errore, una luce sbagliata, una posizione scorretta può produrre una bella foto.

Che cosa diresti a un ragazzo per raccontare la passione delle foto? Gli direi: “Facciamoci una bella passeggiata in riva al mare”; gli darei la mia macchinetta e direi di scattare quando è attratto da un qualcosa che avverte dentro. Non lo posso condizionare ai miei gusti, gli direi: “Fatti guidare dall’istinto”. Poi, gli direi di studiare la luce realizzando foto a un medesimo paesaggio o particolare a ogni inizio di stagione. E’ un modo per studiare le differenze tra luce e ombra con il cambiare delle stagioni. Fare le foto insegna a guardare e a vedere, a osservare con più attenzione il mondo circostante. Si mette l’occhio in guardia.

Cosa si prova quando si scatta una foto? Scattare la foto ti lascia un ricordo personale e crea una memoria per tutti. Ogni foto scattata ti riporta mentalmente al momento dello scatto, alle emozioni del momento; allo stesso tempo, lasci una memoria, un ricordo a disposizione di tutti.

La foto che non hai ancora fatto? Sono tre anni che ho in mente di realizzare una foto. Si tratta di una pianta, di un mandorlo in fiore sulla collina con lo sfondo del mare. Aspetto la fioritura, ma raggiungo il luogo o in anticipo di qualche giorno oppure quando i fiori sono già a terra. Speriamo nella prossima fioritura. Per fare delle belle foto…ci vuole la gioventù! Ho scattato le foto  con la pioggia, con la neve, con i temporali e i fulmini nel mare. A volte, per inquadrare un paesaggio ho rischiato di cadere nelle scarpate. Poi, a testa in su, a fotografare le nuvole che cambiano forma continuamente. Le persone che non fanno foto, non osservano attentamente la bellezza delle nuvole. Poi, ci vuole una bella luce: la luce di gennaio non è buona per il paesaggio perché il sole proietta le ombre troppo lunghe e troppo scure. In pratica, tra la parte in luce e la parte in ombra c’è troppo distacco mentre nel periodo tra marzo e aprile l’ombra è più delicata e si concilia meglio con la luce del sole.

La foto che non dimenticherai mai?  Ero in aperta campagna a fotografare una mucca che stava pascolando. A un certo punto, mentre la stavo inquadrando con l’obiettivo, si è messa a correre verso la mia direzione, come se fosse un toro. Mi sono spaventato tantissimo perché mi è passata vicina. Per non rovinare la foto, però, non mi sono mosso ed effettivamente sono riuscito a fare un primo piano memorabile. L’unico rammarico, lo zoccolo di una zampa è rimasto fuori dall’inquadratura. E’ una delle foto che mi è rimasta più impressa; un po’ per la paura della mucca in corsa verso di me, un po’ per il particolare dello zoccolo rimasto fuori inquadratura.

Il ricordo più bello? Un amico allevatore mi ha chiamato perché un vitello stava per nascere. Sono arrivato in campagna in tempo per documentare tutte le fasi della nascita. A un certo punto, l’amico allevatore si è accorto che nel grembo c’era un altro vitello ma posizionato male e molto in fondo. Allora, decise di chiamare il veterinario. Questi arrivò poco dopo e riuscì nell’intento di far nascere anche il secondo vitello. Anche in questo caso, sono riuscito a fotografare tutte le fasi della nascita. Fu una bellissima esperienza personale che ricordo ancora oggi con molta emozione.

Hai delle collaborazioni aperte? Quali i soggetti preferiti? Cerco di documentare il più possibile gli avvenimenti culturali cittadini. Quello che cerco di evitare è lo sport all’aria aperta, perché detesto il freddo. Anche il primo piano del volto cerco di evitarlo perché una foto è come se rivelasse un carattere, magari diverso da quello tipico del soggetto. Credo sia un discorso troppo personale. Non mi piace fotografare le disgrazie, gli incidenti e nemmeno il terremoto. Oggi vado sempre in giro con la mia macchina fotografica perché quando meno te lo aspetti capita di assistere a qualche particolarità, a qualche situazione straordinaria da fotografare. Lo scorso settembre, ad esempio, sono riuscito a riprendere il passaggio di tre delfini sul mare di Cupra.

Altri bei ricordi? Ho una barchetta a remi. Salgo e vado da solo perché, se sono in compagnia, non riesco a concentrarmi. Remo per un paio di chilometri verso sud e poi scatto le foto alla riva, al paesaggio, perfino al mare e al suo fondale. Non si finisce mai di fare, di imparare. Prima di scattare la foto guardo, osservo, studio. In quell’attimo già ho scattato la foto dentro di me. E’ come se parlassi con la foto, come se la studiassi bene prima del click. Inquadro molto bene prima il tutto, perché poi non ritocco mai le foto. Quindi deve essere una bella foto fin da subito.

La foto più bella? La più strana? Credo sia un servizio fotografico realizzato il 24 settembre 2016. Le giornate si accorciavano e il sole iniziava a camminare verso sud. In sette foto ho documentato la nascita del sole e il suo evidente tragitto effettuato verso sud compiuto in cinque minuti e ventitré secondi. Cioè, ho documentato con foto e tempi il percorso del sole verso sud realizzato in quei soli cinque minuti di tempo. Sono foto bellissime.

Il tuo sogno impossibile? Mi piacerebbe andare a Roma e fotografare – in tre anni di tempo- tutte le chiese della Capitale, le catacombe e i luoghi di culto. Mi piacerebbe indagare la sacralità delle chiese, la luce che vi penetra, valutarne il calore, l’accoglienza, la bellezza. Prima di tutto mi fermerei all’ingresso per vederla tutta intera; poi, inizierei a percorrerla nel suo lato destro per fare successivamente tutto il giro. Non comincerei dalla Basilica di San Pietro, ma dalla prima chiesa che incontrerei nel percorso. Ovvero, sarebbe una scelta casuale relativamente al luogo di partenza; poi, mappa in mano, continuerei in base al criterio della vicinanza e non dell’importanza.

 

 

 

Sara De Simplicio:

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