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Quaresima 2017. Papa Francesco: l’altro “non è mai un ingombro”

M. M. Nicolais

Da una parte la “corruzione del peccato”, che si veste di porpora e di bisso ed è dominata da un “idolo tirannico”, che “può arrivare a dominarci”: il denaro. Dall’altra il volto dell’altro, che è sempre “un dono” e mai “un fastidioso ingombro”, anche quando bussa alla nostra porta. È l’affresco tracciato da Papa Francesco nel Messaggio per la Quaresima – dal titolo “La Parola è un dono. L’altro è un dono” –  che inizia il primo marzo con la liturgia del Mercoledì delle Ceneri. Al centro del messaggio, diffuso oggi e presentato in Sala Stampa vaticana, la parabola dell’uomo ricco – senza nome – e del povero Lazzaro, che ha “tratti precisi” e una “storia personale”: “Ci aiuta ad aprire gli occhi per accogliere la vita ed amarla”, anche quando si presenta sotto le mentite spoglie di “un rifiuto umano”.

“Aprire la porta del nostro cuore all’altro, perché ogni persona è un dono, sia il nostro vicino sia il povero sconosciuto”, l’appello con cui inizia il messaggio.

“Lazzaro ci insegna che l’altro è un dono”, scrive Francesco, spiegando che “la giusta relazione con le persone consiste nel riconoscerne con gratitudine il valore”.
“Anche il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita”, e la Quaresima può essere “un tempo propizio per aprire la porta ad ogni bisognoso e riconoscere in lui o in lei il volto di Cristo”. “Ognuno di noi ne incontra sul proprio cammino”, osserva il Papa con sano realismo: “Ogni vita che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto, amore”, e “la Parola di Dio ci aiuta ad aprire gli occhi per accogliere la vita e amarla, soprattutto quando è debole”.

Ma per poter fare questo “è necessario prendere sul serio anche quanto il Vangelo ci rivela a proposito dell’uomo ricco”. Il povero, nella parabola, non è “un personaggio anonimo, ha tratti ben precisi, una storia personale. Mentre per il ricco è come invisibile, per noi diventa noto e quasi familiare, diventa un volto; e, come tale, un dono, una ricchezza inestimabile, un essere voluto, amato, ricordato da Dio, anche se la sua concreta condizione è quella di un rifiuto umano”.

È la figura del ricco quella da cui ciascuno di noi deve guardarsi, mettendosi al riparo da ogni tentativo di emulazione. Perché è nel ricco che si realizza “la corruzione del peccato”, in tre momenti successivi: “l’amore per il denaro, la vanità e la superbia”. Nella parabola evangelica il ricco, “al contrario del povero Lazzaro, non ha un nome”, è qualificato solo come tale. “La sua opulenza si manifesta negli abiti che indossa, di un lusso esagerato”: la sua ricchezza “è eccessiva, anche perché esibita ogni giorno, in modo abitudinario”. “In lui si intravede drammaticamente la corruzione del peccato”, denuncia il Papa, perché “l’avidità del denaro è la radice di tutti i mali, è il principale motivo della corruzione e fonte di invidie, litigi e sospetti”.

“Il denaro può arrivare a dominarci, così da diventare un idolo tirannico”, ammonisce Francesco: “Invece di essere uno strumento al nostro servizio per compiere il bene ed esercitare la solidarietà con gli altri, il denaro può asservire noi e il mondo intero ad una logica egoistica che non lascia spazio all’amore e ostacola la pace”.

Riecheggiano, in queste righe, altre parole vergate in maniera altrettanto netta e perentoria, nel primo Messaggio per la Quaresima del pontificato, che risale al 2014: il tema è la povertà come “stile di Dio”, “sintesi della logica di Dio”. L’affondo di Francesco è netto: “Quando il potere, il lusso e il denaro diventano idoli si antepongono all’esigenza di un’equa distribuzione delle risorse”.

Il ritratto della “cupidigia” che rende il ricco “vanitoso”, contenuto nel Messaggio di oggi, ci ricorda che quando una “personalità si realizza nelle apparenze”, in realtà “l’apparenza maschera il vuoto interiore”: la vita del ricco, come spesso la nostra, “è prigioniera dell’esteriorità, della dimensione più superficiale ed effimera dell’esistenza”.
“Il gradino più basso di questo degrado morale è la superbia”: è il terzo momento della “corruzione del peccato”: “L’uomo ricco si veste come se fosse un re, simula il portamento di un dio, dimenticando di essere semplicemente un mortale”.

“Per l’uomo corrotto dall’amore per le ricchezze non esiste altro che il proprio io, e per questo le persone che lo circondano non entrano nel suo sguardo”. Il ricco non vede Lazzaro, se non nell’aldilà, perché “nella sua vita non c’era posto per dio, l’unico suo dio essendo se stesso”.

“Il frutto dell’attaccamento al denaro è dunque una sorta di cecità”, commenta Francesco: “Il ricco non vede il povero affamato, piagato e prostrato nella sua umiliazione”. Guardando questo personaggio, “si comprende perché il Vangelo sia così netto nel condannare l’amore per il denaro”: “Nessuno può servire due padroni. Non potete servire Dio e la ricchezza”.

“Il vero problema del ricco, la radice dei suoi mali è il non prestare ascolto alla parola di Dio”, che porta “a non amare più Dio e quindi a disprezzare il prossimo”. È la conclusione del messaggio, dai toni ancora una volta netti:

“Chiudere il cuore al dono di Dio che parla ha come conseguenza il chiudere il cuore al dono del fratello”.

La Quaresima può essere l’occasione per “riscoprire il dono della Parola di Dio, essere purificati dal peccato che ci acceca e servire Cristo presente nei fratelli bisognosi”. Magari con un impegno concreto: aderire alle “campagne di Quaresima” che “molti organismi ecclesiali, in diverse parti del mondo, promuovono per fa crescere la cultura dell’incontro”.

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