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Giornata comunicazioni sociali: Con gli occhiali della speranza

Don Adriano Bianchi

Le cattive notizie non mancano mai. Incidenti, omicidi, guerre, calamità naturali non possono essere taciuti. Il racconto è sempre necessario. Ma con quale sguardo? Papa Francesco, in occasione della giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2017, chiede a giornalisti e operatori della comunicazione di indossare gli occhiali della fiducia e della speranza. Non si tratta di raccontare solo le notizie che hanno un contenuto buono, ma che lo sguardo con cui ogni notizia è narrata trovi nella Buona Notizia del Vangelo il principio ispiratore e uno stile che, nel rispetto dei fatti, promuova l’incontro e preservi la dignità di ogni persona umana.
È roba da stampa cattolica o da giornalisti cristiani? Non proprio o non del tutto, perché in gioco ci sono la costruzione della comunità, lo story telling di un territorio, di un Paese e del mondo, la percezione della vita e dei rapporti sociali della gente.
Il Papa propone l’inedito sguardo della fiducia e della speranza a tutti. Ai giornalisti in primis che più di altri corrono il rischio di svilire la realtà minando inevitabilmente la credibilità della loro professione.
Tra i più gravi atteggiamenti in cui rischiano di incorrere oggi gli operatori della comunicazione c’è, infatti, quello della pervicace e insana volontà di spettacolarizzazione della notizia. Un scrittura che non aggiunge al racconto alcunché di rilevante e non aiuta ne l’approfondimento del pensiero ne la lettura critica delle situazioni. Un fenomeno mediatico questo che, paradossalmente, anche a Brescia tocca ormai più il livello microlocale dell’informazione della provincia che non i tradizionali organi d’informazione locali.
Un ulteriore atteggiamento problematico riguarda il modo con cui il giornalista e i giornali percepiscono il loro compito. Da semplice cronista, l’operatore della comunicazione si sta trasformando in un “protagonista autoreferenziale “ dell’informazione. Un processo che si è accelerato grazie all’uso dei social network. Facebook, Twitter sono diventati il pulpito da cui alcuni giornalisti amano pontificare su tutto e su tutti. Non contano tanto la notizia e le sue conseguenze, ma la rilevanza e lo spazio mediatico commisurati al coinvolgimento del giornale o della televisione “di bandiera” e, ancora peggio, il solo protagonismo del giornalista che non è più il narratore, ma l’artefice e il deus ex machina di ogni racconto. Cresca perciò l’umiltà dell’artigiano di notizie che Francesco sogna con gli occhiali della speranza e della fiducia. La sfida è aperta. Lo è principalmente per noi, giornali e giornalisti cattolici. Se infatti oggi la Chiesa, anche nelle diocesi, ci chiede uno stile di comunicazione più efficace e incisiva non lo fa solo per dare senso alle risorse anche economiche che impegna, ma perché si aspetta “narrazioni impastate di Vangelo” che altri non sanno o non vogliono fare. Giusto! Forse perché, in un certo modo, questo servizio solo noi lo possiamo fare.

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