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Il 2016, l’annus mirabilis di Jorge Mario Bergoglio

Zenit, di Salvatore Cernuzio

Un anno intenso, per Papa Francesco, questo 2016 che si è appena concluso.
Un anno di viaggi e riforme, di eventi ecclesiali epocali come il Giubileo della Misericordia e di visite nelle periferie di Roma e del mondo. Un anno di traguardi nel campo del dialogo ecumenico e interreligioso e di appelli in favore della pace e della non-violenza. Un anno di udienze, ordinarie e speciali, che hanno raccolto oltre 4 milioni di fedeli. Un anno di tweet e di fotografie pubblicate su Instagram. Un anno di interviste in aereo e di videomessaggi. Un anno di incontri con i leader politici, le autorità religiose e le stelle di Hollywood; un anno di pranzi e colazioni con i rifugiati ospitati da Sant’Egidio o i clochard della zona San Pietro.

Un anno, tutto sommato, non facile per Jorge Mario Bergoglio, costretto a fronteggiare quella che egli stesso ha definito più volte una “terza guerra mondiale a pezzi”combattuta in ogni angolo del globo. Guerra che ha provocato crudeli attentati nel cuore dell’Europa oltre alla mattanza di milioni di cristiani in Medio Oriente, alimentando così il flusso migratorio divenuto – particolarmente quest’anno – incontrollabile.

Proprio ai migranti, gli ultimi della terra, il Papa lungo questi 12 mesi ha costantemente rivolto una parola o un pensiero, ampliando alla politica e alla società civile quell’invito già rivolto nel 2015 alle parrocchie ad ospitare famiglie di profughi durante l’Anno Santo. Per mostrare concretamente la propria vicinanza, Bergoglio si è poi recato di persona ad aprile a Lesbo: un viaggio lampo durante il quale, accompagnato dai patriarchi Bartolomeo e Ieronimo, ha visitato il campo in cui si ammassano i profughi che bussano alle porte d’Europa. È in questo groviglio di volti e di storie, di traumi e ferite, che il Pontefice ha denunciato quella che è la “più grande catastrofe umanitaria” dopo le guerre mondiali. Dall’isola greca, il Papa ha poi portato con sé a Roma 12 profughi fuggiti dalle violenze dello Stato Islamico che ha incontrato nuovamente ad agosto in un pranzo nella Domus Santa Marta.

Ai cristiani, ma anche ai musulmani, vittime di persecuzioni estremiste, Papa Francesco ha dedicato anche il suo messaggio di Pasqua, stigmatizzando nella benedizione Urbi et Orbi la tragedia dei conflitti armati su larga scala: non solo in Siria e Iraq, ma anche in Ucraina, Israele e Palestina, Nigeria e Sud Sudan. Il Vescovo di Roma ha chiesto soluzioni politiche per proteggere le vittime e ha incitato al dialogo e ad uno stile di politica che segua l’ideale della “non-violenza”, fulcro del suo Messaggio per la Giornata mondiale della Pace del 1° gennaio 2017. 

Bergoglio non si è poi tirato indietro nel condannare con vigore la “follia omicidia” degli attentati che hanno provocato migliaia di morti in tutto quest’anno: a Nizza come a Istanbul o Berlino. Recentemente, è intervenuto pure nella difficile situazione del Congochiedendo a coloro che hanno responsabilità politiche di ascoltare “la voce della propria coscienza” e “vedere le crudeli sofferenze dei loro connazionali”.

Quando ha potuto il Papa ha offerto attivamente il proprio contributo nei processi di pace di alcuni Paesi, come già aveva fatto per il disgelo tra Stati Uniti e Cuba. È quindi sceso in campo per la Colombia muovendo da dietro le quinte i fili della diplomazia per far giungere ad un Accordo di pace un Paese segnato da 52 anni di guerra civile. Per evitare uno stallo o un’ulteriore crisi dopo la bocciatura dell’Accordo nel referendum, ha messo allo stesso tavolo, nella stessa stanza, lo scorso 16 dicembre, il presidente Jose Manuel Santos e l’ex presidente, leader dell’opposizione, Alvaro Uribe, ricordando “l’importanza del dialogo sincero tra tutti gli attori della società colombiana in questo momento storico”.

In quella stessa stanza Francesco ha ricevuto, senza preannuncio, il presidente del Venezuela Nicolas Maduro, volato a Roma per incontrarlo privatamente e chiedere una mediazione vaticana nella gravissima crisi istituzionale ed economica che attraversa il Paese. In risposta, il Pontefice ha inviato mons. Claudio Maria Celli, veterano della diplomazia pontificia, in Venezuela per dare una spinta all’avvio del dialogo tra Governo e opposizione.

La stessa spinta che Bergoglio ha dato al dialogo ecumenico e interreligioso. Il 12 febbraio 2016 è la data storica con l’incontro nell’aeroporto de L’Avana, a Cuba, con il patriarca di Mosca Kirill. Anche in quel caso un gesto animato dalla volontà di pace tra due Chiese sorelle divise dalle ferite della storia e che, nel presente e per il futuro, si ritrovano unite a fronteggiare le sfide della modernità: dai cristiani perseguitati agli attacchi alla famiglia.

Un impegno assunto anche con i luterani dopo lo storico viaggio ecumenico a Lund, in Svezia, il 31 ottobre, per commemorare il 500° della Riforma. Anche quella una tappa senza precedenti, culmine di un lavoro ecumenico intessuto sin dalle prime battute del pontificato. Anche in campo interreligioso si sono registrati quest’anno importanti appuntamenti: la visita nella Sinagoga di Roma a gennaio e l’incontro con l’imam della università sunnita egiziana di Al-Azhar a maggio, dopo 7 anni circa dall’interruzione dei rapporti con la Santa Sede. 

Sulla scia dei ‘passi avanti’ compiuti dal Papa argentino, non si possono dimenticare le novità della riforma della Curia. A cominciare dalla nascita dei due maxi Dicasteri: quello per Laici, famiglia e vita e quello per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, il cui lavoro prenderà il via domani e la cui sezione sui migranti sarà guidata ad interim dallo stesso Pontefice. La riforma continuerà nel prossimo anno, toccando in particolare il settore delle comunicazioni. Essa “non è un lifting” ma un processo necessario nonostante qualcuno vi opponga “resistenze”, ha sottolineato il Santo Padre nel recente discorso alla Curia romana per gli auguri di Natale.  

Le stesse “resistenze” che in un certo qual modo si sono manifestate dopo la pubblicazione ad aprile della esortazione Amoris Laetitianella quale Francesco chiede di “accompagnare, discernere e integrare” le famiglie specialmente quelle ferite. Il documento, frutto dei lavori non facili dei due Sinodi sulla famiglia, ha suscitato i “dubia” di alcuni cardinali che hanno chiesto al Papa “un atto di correzione formale” specialmente sulla spinosa questione dei sacramenti ai divorziati risposati.

Ripercorrendo il 2016 non si può non citare poi il Giubileo straordinario della Misericordia che ha segnato tutto l’anno fino alla sua chiusura dello scorso 20 novembre, con una cerimonia in piazza San Pietro alla presenza di circa 70mila fedeli. Un numero simile a quello della canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, il 4 settembre, la piccola suora albanese che il Papa ha definito “dispensatrice di misericordia divina” che “ha fatto sentire la sua voce dinanzi ai potenti della terra”, specie su questioni come l’aborto o l’ingiusta povertà.

Icone di misericordia sono per il Papa anche Padre Pio e Leopoldo Mandic, i due cappuccini confessori. Per questo ha voluto che le loro reliquie fossero esposte nella Basilica di San Pietro, a febbraio, al culmine del Giubileo. L’evento ha attirato nella Capitale migliaia di fedeli dall’Italia e dal mondo. Francesco ha chiesto di seguire il loro esempio ai sacerdoti e religiosi, specialmente ai Missionari della Misericordia inviati in ogni parte del mondo per assolvere anche i peccati riservati alla sede apostolica. Un servizio che ha richiamato al confessionale fiumi di fedeli, tanto che il Papa nella lettera apostolica Misericordia et Misera ha stabilito che tale servizio prosegua anche dopo il Giubileo.

E chissà se proseguiranno dopo il Giubileo anche i Venerdì della Misericordia, le visite a sorpresa che il Santo Padre ha compiuto una volta al mese in luoghi periferici di Roma per incontrare quelle persone che ogni giorno lottano per un pezzo di vita e contro la cultura dello scarto: bambini malati o abbandonati, anziani soli, tossicodipendenti in fase di recupero o ex sacerdoti con le loro famiglie. A tutti Papa Francesco ha voluto mostrare la tenerezza di Dio e dare una parola di speranza.

La stessa speranza che ha chiesto di non perdere mai ai giovani durante l’intensa Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia a luglio, come pure ai carcerati nel Giubileo a loro dedicato. Proprio in quell’occasione il Pontefice ha lanciato anche un appello ai Governi di tutto il mondo a compiere “un atto di clemenza” e a migliorare le condizioni di vita dei detenuti, rispettandone i diritti.  Con lo stesso vigore il Papa ha chiesto invece “perdono” a tutti i poveri e i disagiati del mondo che lo hanno incontrato in Aula Paolo VI per il Giubileo delle persone socialmente escluse, a novembre. “Perdono – ha detto il Papa – a nome dei cristiani, per tutte le volte che, davanti a una persona povera o a situazioni povere, si girano dall’altra parte”. 

Tutta colpa di quella “globalizzazione dell’indifferenza” che il Papa denuncia come peccato più grave della modernità. Un peccato di cui è schiava anche l’Europa, come ha sottolineato nella cerimonia per il Premio Carlo Magno il 6 maggio scorso. In un monumentale discorso, Francesco ha confessato i suoi sogni per il futuro del Vecchio Continente: “Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre”, ha affermato, “sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non sia delitto bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano”.

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