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Papa: “L’ipocrisia dei religiosi che vivono da ricchi è un danno per la Chiesa”

Zenit di Luca Marcolivio

Carisma, Fedeltà, Ripensare l’economia. Su questi tre punti è articolata la riflessione di papa Francesco nel messaggio indirizzato ai partecipanti al secondo Simposio internazionale sull’economia (25-27 novembre 2016). Ospitato dalla Pontificia Università Antonianum, l’appuntamento è promosso dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica sul tema Nella fedeltà al carisma ripensare l’economia, al quale partecipano circa mille economi ed econome generali.

Quanto al primo punto, il Santo Padre ha ribadito un concetto a lui caro: nella Chiesa i carismi non sono “pezzi da museo”, né nulla di “statico” o “rigido”. Rigettando qualunque tentazione di fare “archeologia carismatica” o di cadere in una “nostalgia sterile”, i carismi vanno, piuttosto, considerati una “realtà viva”, quindi chiamata a “fruttificare”.

In base a ciò, la vita consacrata è “segno e profezia del regno di Dio” e spinge coloro che la abbracciano a rimanere “vigilanti e attenti a scrutare gli orizzonti della nostra vita e del momento attuale”, nonché a “condividere e testimoniare la bellezza della sequela Christi”.

Il Pontefice si è quindi soffermato sul tema della “gratuità” e del “dono”, parole che non si possono “relegare nella sfera privata e religiosa”, laddove l’economia e la sua gestione non possono mai essere “eticamente e antropologicamente neutre”. Senza la “charis”, una società finisce “disumanizzandosi”, generando “situazioni di esclusione e rifiuto”.

Gli uomini e le donne del nostro tempo devono dunque “sporcarsi le mani” e correre in soccorso “dei “tanti che giacciono feriti lungo le nostre strade, perché con loro condividiamo le attese, le paure, le speranze e anche quello che abbiamo ricevuto, e che appartiene a tutti”. È importante anche, ha ribadito il Papa, non lasciarsi “sopraffare dalla logica diabolica del guadagno”, poiché “il diavolo spesso entra dal portafoglio o dalla carta di credito”.

Altre facce del “poliedrico tesoro” della vita consacrata sono state indicate da Francesco nel “leggere le domande per rispondere”, nell’“ascoltare il pianto per consolare”, nel “riconoscere le ingiustizie per condividere anche la nostra economia”, nel “discernere le insicurezze per offrire pace” e nel “guardare le paure per rassicurare”.

Il secondo punto, la fedeltà, implica “un lavoro assiduo di discernimento affinché le opere, coerenti con i carismi, continuino ad essere strumenti efficaci per far giungere a molti la tenerezza di Dio”. È fondamentale, ha aggiunto il Santo Padre, “chiedersi se le nostre opere manifestano o no il carisma che abbiamo professato, se rispondono o no alla missione che ci è stata affidata dalla Chiesa. Il criterio principale di valutazione delle opere – ha proseguito – non è la loro redditività, ma se corrispondono al carisma e alla missione che l’istituto è chiamato a compiere”.

Quanto all’ultimo punto, il Papa ha auspicato un ripensamento dell’economia “attraverso un’attenta lettura della Parola di Dio e della storia”, ascoltando il “sussurro di Dio” e il “grido dei poveri”, in particolare dei “nuovi poveri”, ridando “dignità a persone vittime dello scarto, deboli e fragili: i nascituri, i più poveri, gli anziani malati, i disabili gravi”.

Francesco ha quindi denunciato la “logica dell’individualismo” che “può intaccare anche le nostre comunità” ed ha sollecitato una “gestione oculata e un controllo sulla gestione non improvvisati”, tenendo sempre fermo il principio per il quale ci “si serve del denaro e non serve il denaro”, se non si vuol renderlo lo “sterco del diavolo”.

Gli incaricati di gestire l’economia di un istituto religioso devono essere “astuti come i serpenti e semplici come le colombe (cfr Mt 10,16)”, ovvero essere dotati di quella “astuzia cristiana” che “permette di distinguere fra un lupo e una pecora, perché tanti sono i lupi travestiti da pecore, soprattutto quando ci sono i soldi in gioco”.

Il tono del Pontefice si fa poi sempre più esplicito: “Quanti consacrati continuano ancora oggi a pensare che le leggi dell’economia sono indipendenti da ogni considerazione etica? Quante volte la valutazione sulla trasformazione di un’opera o la vendita di un immobile è vista solo sulla base di un’analisi dei costi-benefici e valore di mercato? Dio ci liberi dallo spirito di funzionalismo e dal cadere nella trappola dell’avarizia!”. E in conclusione Bergoglio rincara la dose: “L’ipocrisia dei consacrati che vivono da ricchi ferisce le coscienze dei fedeli e danneggia la Chiesa”.

Redazione: