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La sinodalità nella parrocchia

Di Riccardo Benotti

Puntare sulla parrocchia per rispondere alla crisi di appartenenza che si vive a ogni livello, favorendo il confronto con le persone all’insegna della sinodalità. È la convinzione che anima il Centro orientamento pastorale (Cop), che in questi giorni si è riunito a Foligno per la 66ª Settimana nazionale di aggiornamento sul tema “Riconciliarsi nella comunità. Educarsi alla misericordia, al dono, all’impegno”. Per monsignor Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e presidente del Cop, “la riconciliazione e la misericordia declinata nella vita, nelle strutture, nelle relazioni interne ed esterne della comunità cristiana, nei suoi rapporti con il mondo, nella sua forza evangelizzatrice ci pare la cifra del nostro aggiornamento e ci ha portato a sognare una Chiesa i cui tratti essenziali qui vogliamo offrire, descrivere e aiutare a diventare prassi concreta”.

Affrontare le grandi sfide del presente. “Parlare di riconciliazione è utile perché ci permette di affrontare anche la questione del conflitto”, prosegue mons. Sigalini:

“Non c’è perdono o riconciliazione se non c’è una pace da fare, e non c’è pace da fare se non c’è da superare un conflitto. Oggi siamo chiamati ad accettare i nostri conflitti, le tensioni, i punti di vista diversi e talvolta opposti anche nella Chiesa”.

Quanto allo stile sinodale nelle parrocchie, il rischio è che ci si fermi alle teoria: “Non abbiamo bisogno di slogan, ma di fatti concreti. È importante educare i religiosi e le religiose che già sperimentano la sinodalità nella vita comunitaria, ma che poi sembrano dimenticarsene nel rapporto con le persone. E poi i presbiteri, perché sinodalità significa ascoltare: chi alla fine prende le decisioni, deve sapere che prima c’è stata una discussione che ha toccato determinati punti”. Un’impostazione pastorale che non toglie autorità al presbitero anzi, osserva il vescovo, “pone fine ai discorsi ormai stantii sul clericalismo e i laici addormentati”: “Non ci interessano queste contrapposizioni ma le grandi sfide del presente che, da soli, non possiamo affrontare”.

Bisogno religioso. La parrocchia, dunque, vissuta come “ponte e non muro, crocevia di bisogni e di solitudini che cercano compagnia e prospettive, che non ha paura di essere minoranza perché non è affatto settaria, tiene aperta la tensione a salvare e accogliere tutti, ha sempre questa bella caratteristica di essere cattolica, contro la tentazione di farti intimistica e gruppettara o lobby che si specializza in cose che non sono per tutti”. Uno sforzo ulteriore è richiesto, invece, nel modello pastorale che viene proposto: “Chi vive tra la gente, soprattutto nelle periferie, sa che le persone avvertono un grande bisogno religioso. Ma noi proponiamo troppo spesso spazi chiusi e lontani, che non facilitano l’incontro con le domande che il popolo ha nel cuore”. Per essere capaci di rispondere alle urgenze delle persone, spiega mons. Sigalini, la strada da percorre è soltanto una: “È indispensabile che il pastore abbia l’odore delle pecore.

Il parroco è l’uomo dei legami, non l’uomo che comanda.

È colui che tiene le relazioni nella comunità con pazienza e accuratezza, stimolando la vita parrocchiale che non deve essere retta soltanto da lui ma anche dai laici e dai collaboratori”.

Vicini e lontani. Ma è difficile coniugare la cura pastorale delle poche pecore che sono rimaste nel recinto e la tensione missionaria ad uscire per cercare chi è lontano? “È un’opera che non va fatta in due tempi. Le pecore che stanno dentro si curano aiutandole a proporsi a quelle che stanno fuori. Ad esempio se il sacerdote si fa accompagnare dalle persone che vivono in un territorio, allora è possibile raggiungere tante situazioni altrimenti inarrivabili”. D’altra parte, ribadisce mons. Sigalini, Papa Francesco è stato chiaro nella Evangelii Gaudium: “Se ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore, nessuno può negare la necessità della loro riforma, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione nel mondo attuale, più che per l’autopreservazione”.

Se il Consiglio pastorale è simile a una piazza, “dove chiediamo informazioni per sapere cosa si dice in giro”, il passo da compiere è in direzione di “una riforma che riguardi procedure, ordinamenti e prassi delle istituzioni ecclesiastiche” e preveda anche “un aggiornamento del codice di diritto canonico, che è rimasto molto indietro rispetto alle definizioni e decisioni conciliari”.

Il futuro della parrocchia, conclude mons. Sigalini, “sta nella qualità del legame che si stabilisce tra le persone e il prete, ma anche tra le persone che abitano il territorio e chi lo vive occasionalmente”.

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