Una sinergia per condividere. La Fondazione Cum, braccio operativo di Missio finanziato dalla Cei, da sempre organizza corsi per missionari, famiglie o singoli operatori in partenza. Da una decina d’anni fornisce anche corsi specifici sulla comunicazione, per imparare a comunicare la missione, sia in Italia, sia nel Sud del mondo. Quest’anno l’attenzione è caduta sui social: Facebook, Twitter, Instagram, Google plus, Pinterest, i blog… In un mondo in cui la tecnologia ha reso la comunicazione immediata accorciando tutte le distanze, la rapidità e il buon confezionamento delle notizie (scritte, foto, video) diventa importante anche per i missionari. “Tanti hanno una pagina Facebook curata in prima persona o da gli amici – spiega il giornalista Paolo Annechini, della Fondazione Cum/Missio, coordinatore del corso -. Tanti usano blog o newsletters. Il problema è che il raggio d’azione rimane circoscritto al singolo missionario. Noi vorremmo promuovere una sinergia per mettere in rete e condividere tutte le notizie e gli eventi”.
Scegliere le immagini giuste e realizzare un video. E’ ovvio che la priorità di ogni missionario, in qualsiasi parte del mondo, sono le attività pastorali. Alla comunicazione si dedica un tempo marginale: la sera o quando la connessione internet funziona bene. Per questo “noi insegniamo ad utilizzare quel poco tempo nel modo migliore”, precisa Annechini, che è anche direttore dell’associazione Luci nel mondo che realizza videoreportage. Imparare, ad esempio, a scattare poche foto ma buone durante un evento; a realizzare un video di soli 10 minuti (da ridurre a 2/3 minuti). “Oggi non c’è più il divario tecnologico tra nord e sud del mondo – constata -. Bastano un telefonino o una macchinetta fotografica per produrre un buon video”. Quello che invece manca è la formazione. “Scattare 500 foto e girare 3 ore di video durante una distribuzione di medicinali”, fa un esempio, “non serve a nulla: è materiale ingestibile”.
L’importanza della velocità. Oltre alla difficoltà di selezionare ciò che serve, il problema maggiore è la velocità di comunicazione. “Spesso i missionari comunicano dopo settimane – dice -. E’ chiaro che a quel punto le notizie non servono a molto, sono vecchie”. Anche se non si può chiedere ad un missionario di essere sempre presente sui fatti di cronaca – non è quello il suo lavoro – è però vero che spesso i giornalisti li contattano per capire il contesto socio-politico o economico del Paese in cui operano, per avere contatti, informazioni utili: “La rete sui social sarebbe utile anche per rilanciare e approfondire le notizie, in tempi rapidi”. In parte già avviene sui settimanali diocesani, ma sarebbe utile arrivare anche al livello nazionale e internazionale.