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Albania: presto la beatificazione di 40 martiri

Zenit di Luca Marcolivio

La Chiesa Cattolica si arricchirà di un nuovo significativo gruppo di martiri, originari di quello che, fino a non molti anni fa, era “il paese più ateo del mondo”.
Sono quaranta i servi di Dio albanesi per i quali è terminato il processo di beatificazione, secondo quanto riferito due giorni fa da monsignor Marcello Semeraro, vescovo di Albano e segretario del Consiglio dei 9 Cardinali per la riforma della Curia Romana.
Intervenendo due sere fa alla presentazione del libro di Mimmo Muolo, intitolato Don Ernest Simoni. Dai lavori forzati all’incontro con Francesco, che racconta la vicenda di un sacerdote prigioniero politico durante la dittatura comunista, monsignor Semeraro, che è membro della Congregazione per le Cause dei Santi, ha riferito che ormai rimane soltanto la decisione finale di papa Francesco sulla conclusione del processo.
Il presule ha quindi ricordato che la persecuzione anticristiana in Albania è stata “la più tragica di quelle avvenute nel secolo passato” e che vi sono documenti che provano come l’uccisione dei futuri beati sia effettivamente avvenuta per odium fidei.
L’annuncio di Semeraro e la presentazione del libro su Simoni, unico superstite del gruppo dei 40 martiri, è avvenuta lo stesso giorno dell’incontro tra l’anziano sacerdote albanese e il Santo Padre in Vaticano. Un abbraccio commovente, la cui foto ha fatto il giro del mondo e che tuttavia non è il primo tra i due.
Francesco e don Ernest si erano infatti conosciuti in occasione della visita pastorale a Tirana del 21 settembre 2014, quando il Pontefice definì l’Albania una “terra di martiri”, dopo aver ascoltato la testimonianza del sacerdote e di un’altra sopravvissuta, suor Maira Kaleta.
Significativamente, al momento in cui don Ernest si è avvicinato al Papa, per baciargli l’anello piscatorio, Francesco ha ritratto la mano, baciando, a sua volta, la mano dell’ospite, in segno di riverenza verso un cristiano sopravvissuto alle persecuzioni.
Simoni fu arrestato nella notte di Natale del 1963, senza alcuna accusa al di fuori dell’essere un sacerdote. Dopo essere stato in cella d’isolamento, torturato e condannato a morte, ebbe la pena commutata in 25 anni di lavori forzati nelle miniere e nelle fogne di Scutari, dove riuscì in qualche modo a celebrare messa (recitando a memoria il rituale in latino) e a distribuire la comunione. Con grande sorpresa dei suoi aguzzini, non pronunciò mai parole di rabbia verso il regime ma solo parole di perdono e preghiera per loro, fino alla sua liberazione, avvenuta il 5 settembre 1990.
Il pontificato di Bergoglio, dunque, si arricchisce di nuovi martiri del XX secolo. Risalgono infatti al 13 ottobre 2013 e al 21 ottobre 2015, le beatificazioni di due gruppi di 522 e 26 martiri, mentre il prossimo 16 ottobre sarà la volta della canonizzazione del beato José Sanchez del Rio, assassinato a soli 13 anni, durante la guerra cristera messicana.
Chi erano tuttavia i martiri albanesi di imminente beatificazione? Il loro numero, in realtà, è ben superiore ai quaranta e, molto probabilmente, tra le vittime del regime comunista sono largamente prevalenti i martiri senza nome.
Se sono oltre il centinaio il numero di vescovi, sacerdoti, seminaristi e religiosi uccisi fino alla fine degli anni ’80, molto più alto è il numero dei laici che hanno sacrificato la vita in nome della fede.
I pretesti ricorrenti da parte del regime erano fondamentalmente due: essere spie al servizio del Vaticano; essere collaborazionisti fascisti.
Nell’elenco dei martiri sono inclusi figurano due sacerdoti morti prima dell’invasione sovietica: il francescano Luigi Paliq (+1913) e il diocesano di Scutari-Pult, Gjon Gazulli (+1927).
La maggior parte dei futuri beati hanno versato il sangue tra il 1945 e il 1974 (per lo più nei primi cinque anni di regime) e sono in larga parta sacerdoti o religiosi (francescani o gesuiti) ma figurano anche quattro laici e un vescovo.
Venti di loro vennero fucilati e i loro corpi lasciati alle intemperie, senza sepoltura. Gli altri diciotto morirono a seguito delle torture e delle persecuzioni.
Secondo quanto raccontato da monsignor Semeraro, la madre di uno dei sacerdoti implorò i carnefici: “Uccidetemelo, vi pago i proiettili ma non fatelo soffrire ancora”.
“Tutti i martiri dimostrarono una eccezionale fermezza d’animo – ha aggiunto il presule – in questa Via Crucis lunga e straziante, fatta di indicibili tormenti: la corrente elettrica, il sale nella bocca, la testa nell’acqua gelata per giorni. E infatti nessuno di loro accettò di staccarsi dalla Santa Sede per mettere fine a quei tormenti, come gli veniva suggerito dagli aguzzini”.
Semeraro ebbe occasione di seguire la liberazione del paese tra il 1990 e il 1991 e i primi passi della Chiesa di Scutari. In qualità di vescovo di Oria (Taranto), a partire dal 1998, mandò alcuni suoi sacerdoti in Albania per condurre le ricerche per il processo di canonizzazione.

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