“Le persone uccise dai jihadisti speravano d‘iniziare una nuova vita e ricevere protezione in Europa”, ma “nei campi di detenzione in Libia i cristiani sono sempre stati discriminati e maltrattati – riferisce il sacerdote ad Acs -. Nei giorni scorsi mi hanno informato che in un centro di Misurata i cristiani sono obbligati a pregare assieme ai musulmani e a osservare il digiuno nel mese del Ramadan. Con la differenza che mentre al calar del sole i detenuti musulmani ricevono del cibo, ai cristiani è negato anche questo diritto”. In merito alla vicenda dei dodici cristiani gettati in mare nel Canale di Sicilia lo scorso 14 aprile, il sacerdote invita invece alla cautela: “Le dinamiche non sono ancora state confermate dalla magistratura ed è la prima volta che si hanno notizie di discriminazioni religiose tra i migranti sui barconi. Spero che non sia vero, altrimenti sarebbe terribile”.
Tra i migranti cristiani uccisi dallo Stato islamico vi erano almeno tre eritrei, identificati attraverso il video diffuso dai jihadisti. Don Zerai racconta la persecuzione vissuta dai fedeli nel suo Paese, non a caso noto come la “Corea del Nord d‘Africa”. Secondo i dati dell‘ultimo rapporto sulla libertà religiosa di Acs, in Eritrea sarebbero circa 1.200 i cristiani detenuti in carcere anche per motivi religiosi: “Molti leader cristiani, soprattutto pentecostali, sono stati arrestati e torturati e alcuni di loro hanno trovato la morte in carcere. Perfino il patriarca ortodosso eletto canonicamente si trova ora agli arresti domiciliari ed è stato sostituito da un patriarca vicino al regime”. Lo stretto controllo governativo riguarda anche la Chiesa cattolica le cui pubblicazioni – “colpevoli” di denunciare ingiustizie e abusi – sono state chiuse già da dieci anni, tanto che “ci hanno vietato di pubblicare la traduzione della dottrina sociale della Chiesa in lingua tigrina. I censori sostengono che contenga temi politici”. Don Zerai teme possibili rivendicazioni in seguito alla lettera pastorale scritta dai quattro vescovi di Eritrea nel giugno 2014: una chiara denuncia delle difficili condizioni in cui versa la Chiesa locale. “Il regime non ha ancora agito perché non vuole apparire vendicativo – conclude -. Ma i vescovi si attendono una dura reazione in futuro”.