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“Con un amico rom perdi la paura cambia il tuo cuore”

Di Paolo Bonini

“Se vuoi fare l’operatore sociale, hai bisogno di buoni maestri”.
Padre Georg Sporschill racconta da questa prospettiva la sua esperienza tra Bucarest e la Transilvania; ventitré anni a contatto con i rom e la loro cultura. Il Teatro De Rossi, nel quartiere San Giovanni di Roma, ha ospitato ieri sera (10 marzo) la presentazione del libro dedicato a padre Sporschill, “Chi salva una vita salva il mondo intero”, di Stefano Stimamiglio, sacerdote della Società San Paolo. Hanno partecipato anche monsignor Giuseppe Marciante, vescovo ausiliare del settore Est della diocesi, alcuni esponenti delle istituzioni municipali, e Stimamiglio. L’iniziativa voleva sollecitare anche un’inversione del punto di vista con cui di solito si osserva l’attività degli operatori sociali.

Ascoltare i giovani. La testimonianza di Sporschill ha sollecitato tre punti di riflessione. Sull’approccio alle “periferie”, dimensioni che esistono in qualunque società. “Per me vale una regola – ha spiegato il gesuita austriaco – quando non conosco qualcosa ne ho paura”. La paura si vince “toccando, conoscendo lo sconosciuto”. Così “quando hai un amico rom, cambia la tua personalità, e cambia il tuo cuore. Perdi la paura, sei di fronte a nuove domande e nuovi enigmi. Comincia una dinamica nuova”. Il secondo punto è sull’ottica con cui ci si avvicina alle persone diverse: non siamo noi a insegnare qualcosa, dobbiamo solo imparare; il “lasciarsi ammaestrare” ignaziano. Il gesuita ha presentato quindi i suoi maestri: quattro ragazzi rom, che hanno cantato e suonato il violoncello. “Mi sono chiesto: ‘Cosa puoi fare per i giovani?’ e ho cercato dei ragazzi; gli ho chiesto di aiutarmi a cominciare questo percorso”, ha chiarito. Sporschill ha citato il rapporto di Martini con i giovani: “Ascoltate quello che dicono i giovani”. Questo rapporto aiuta entrambe le parti: “Prima questi ragazzi vivevano per strada, ora studiano la musica e lavorano per i bambini”.

Fare sentire agli altri di essere amati.
Il terzo punto è portare questo genere di relazione in tutte le “periferie”, anche a Roma. “Ho visto molti mendicanti che chiedevano soldi, ho creato una relazione e loro hanno dimenticato di chiedere denaro”, ha raccontato, sottolineando sempre che il punto è la dignità, innestare nella vita di un disperato l’esperienza di essere amato. Il meccanismo vale anche per i poveri: “Chi è povero non può fare progetti. Noi che siamo ricchi, abbiamo la capacità di fare progetti, di organizzarci”. Così anche per il lavoro. Ha raccontato di un centro in cui si riuniscono disoccupati in Austria: “Uno ha cominciato, ha dato la sua esperienza, e ha detto ‘io sono senza lavoro’. Adesso si incontrano in tanti e si regalano riconoscimento e amicizia: se qualcuno sente la dignità, trova di nuovo lavoro”. È stato proiettato poi un contributo della Caritas, in cui si danno le cifre su tre questioni sociali rilevanti nel tessuto capitolino: senza tetto, case occupate, campi rom. Padre Georg ha descritto la psicologia dei senza tetto, evidenziando come in molti casi in Romania le persone, a cui erano consegnati soldi, li spendevano subito in “bere e mangiare”: in strada tutto il resto si butta. Ma contemporaneamente, “quando avevano una macchia su un pantalone, andavano alla Caritas a chiederne uno nuovo; ma del resto, come puoi lavare se sei povero?”. Padre Georg ha invitato gli operatori a mettersi davvero in gioco: “La cosa più importante non è quello che gli dai da mangiare, ma il fatto stesso che gli dai da mangiare, l’amore, l’essere. I poveri questo lo capiscono. E chi viene amato, potrà ad un certo punto fare progetti”. Vale per i rom, per i senza tetto, per i disoccupati, per le famiglie a pezzi, per i sacerdoti stanchi. Vale per tutti, ovunque.

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