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Servizio civile all’Unitalsi storia di successo

Di Luigi Crimella
Nella società del “Jobs Act”, di “Garanzia Giovani”, delle “start-up”, dei “lavori a progetto”, forse dovremo tornare a prendere confidenza anche con un’espressione che riguarda i giovani e il loro ingresso in società, che risulterà magari un po’ antico, ma tutt’altro che passato di moda: quello del “servizio civile”. Eh, sì. Perché, come dimostra il caso dell’Unitalsi, antica e molto radicata associazione cattolica la cui sigla sta per “Unione nazionale italiana trasporto ammalati a Lourdes e santuari internazionali”, il servizio civile è entrato da qualche anno nelle sue sezioni e ne sta poco a poco modificando i tratti funzionali. Certo – spiega il suo presidente nazionale Salvatore Pagliuca – “i numeri sono ancora ridotti: attualmente abbiamo in servizio 304 giovani, in maggioranza ragazze, tra i 18 e i 26 anni. Ma la loro presenza, accanto ai 100mila soci dei quali 30-40mila ‘attivi’, si sta rivelando tutt’altro che trascurabile”. In che senso il servizio civile stia assumendo un ruolo sempre più preciso dentro l’Unitalsi, è presto detto: “Nella storia recente dell’associazione abbiamo avuto la presenza di 1900 giovani, moltissimi dei quali si sono via via qualificati non soltanto per la collaborazione alle varie fasi della nostra vita associativa, dal tenere aperte le sedi cinque giorni a settimana fino alla loro partecipazione diretta ai pellegrinaggi coi malati. Un aspetto interessante è stato che quasi tutti e tutte si sono qualificati, ad esempio, come esecutori di Blsd, acronimo che sta per Basic Life Support Defibrillation, un progetto a cui teniamo molto e che ha una propria validità oggettiva”. “Sono giovani che – prosegue Pagliuca – inizialmente magari sono motivati soprattutto dal fatto di poter trovare un’occasione di occupazione minimamente remunerata, e che poi scoprono importanti valori di natura umana e anche spirituale”.
Quasi il 60% dei volontari viene dal Sud. Vediamo intanto alcuni numeri del servizio civile dentro Unitalsi. Dal dossier che verrà presentato in questi giorni a Roma, in occasione dell’incontro nazionale dei medici che sostengono l’attività associativa, emerge che sono soprattutto i ragazzi del Sud (56,4%) a scegliere di effettuare questo particolare servizio civile in favore del settore della disabilità e della malattia. Seguono i ragazzi delle Isole (19,8%), quelli del Centro (17,3%) ed infine quelli del Nord (6,4%). Basti considerare che Basilicata, Calabria, Campania e Puglia sono le regioni dove si concentra il maggiore numero di progetti accreditati (88 progetti) a favore delle persone disabili con il 39,7% del totale, seguono la Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio e Molise con il 27,2% dei progetti; Sardegna e Sicilia 23,8% e Emilia-Romagna e Liguria con il 6,8%. Oltre a “crescere come persone” (87%), i ragazzi coinvolti confidano che questa esperienza consenta di arricchire le loro competenze sociali e lavorative, incrementando anche la formazione alla “cittadinanza attiva” (68%). Il presidente Pagliuca sottolinea in particolare che “l’incontro che hanno con l’umanità sofferente finisce per ‘caricarli’, coinvolgendoli e facendo loro toccare con mano che la disabilità non è un mondo a parte ma è parte viva e palpitante della realtà di molti”.
Un forte valore formativo. La ricaduta di un servizio civile così marcatamente a contatto col dolore fa superare “forme di scetticismo iniziale”, dice ancora Pagliuca, “in quanto i giovani, specie quelli che partecipano ai viaggi a Lourdes, vi scoprono una umanità gioiosa che lì carica e motiva, anche sul piano interiore”. “Il servizio civile assolve così a un duplice fine: apre ai giovani nuove prospettive di impegno sociale, umano, di volontariato e di carità, e fa bene alle nostre associazioni – sottolinea – perché proprio i giovani volontari immettono nelle nostre fila un modo nuovo di vedere la realtà. Trovo particolarmente toccante il fatto che, superate le difficoltà iniziali, si vedono molti di questi giovani che entrano in un rapporto più stretto coi malati e i disabili, li vanno a trovare fuori dal servizio associativo, diventano in qualche modo amici. Questo rappresenta un forte elemento umano che pone le basi per una società del futuro che riconosca il valore delle relazioni, tra giovani e anziani, tra sani e malati. Una società anche più cristiana”. Accanto al presidente nazionale Pagliuca, anche Federico Baiocco, responsabile nazionale dei medici Unitalsi, rileva come nei giovani “è cresciuta la consapevolezza che il proprio futuro professionale ed umano non dipenda solo dal titolo di studio, ma anche da esperienze che si possono acquisire fuori dalle mura universitarie e scolastiche mettendosi in gioco, in presa diretta con la vita. Quella dei giovani in servizio civile appare così sempre più la scelta consapevole per un volontariato di qualità”. Che è un po’ l’auspicio che viene anche dal mondo del servizio civile nazionale nel suo complesso, in grado – quest’anno – di “arruolare” 46mila giovani, come spiegano all’ufficio presso la presidenza del Consiglio dei Ministri. Un piccolo esercito, verrebbe da dire, variamente distribuito (tra l’altro 140 giovani saranno all’Expo di Milano), ma accomunato dal fatto che oggi, nella difficoltà di trovare una occupazione, il servizio civile può rappresentare un’esperienza propedeutica all’ingresso vero e proprio nel mondo del lavoro. Il che non è poco, con l’aria che tira.
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