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“Pillole di vita” Gesù ha salvato il mondo incarnando l’amore fino alla morte in croce

Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza sulle letture di domenica 22 Febbraio

«E subito, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana» (Mc 1,12-13).
Il Vangelo dell’anno B racchiude in due soli versetti la narrazione delle tentazioni di Gesù nel deserto e la collega strettamente, mediante quel “e subito”, proprio alla scena del Battesimo presso il Giordano, dove Gesù aveva visto i cieli squarciarsi e lo Spirito discendere su di lui, mentre una voce dal cielo gli rivelava «tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Mentre, quindi, gli altri vangeli sinottici ci parlano di tre tentazioni con le quali il diavolo ha messo alla prova Gesù al termine di quaranta giorni di digiuno, Marco sottolinea piuttosto che non appena il Padre rivela a Gesù la sua identità di Figlio e lo “unge” Messia  inviando su di lui lo Spirito, lo stesso Spirito “getta” Gesù nel deserto e, ripete l’evangelista, nel deserto egli rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Sembra che Marco, senza svelarne i particolari, voglia farci entrare nel travaglio interiore di Gesù, per il quale non è stato scontato né automatico accogliere la vocazione e la missione che il Padre gli ha rivelato, ma ha dovuto entrare nell’estrema solitudine del deserto dove la mancanza di tutto mette a nudo i desideri del cuore, ma anche i bisogni, le aspirazioni, le illusioni, e l’idea che abbiamo di noi stessi e a quale Dio vogliamo credere, seguire, appartenere, donarci.

Un viaggio pericoloso, quello nei nostri inferi, un viaggio che non possiamo affrontare superbamente soli, ma con l’umiltà di chi ha bisogno di essere condotto per mano dallo Spirito, il quale, dirà Gesù, ci guiderà alla verità tutta intera.

Il deserto ci restituisce non un Messia “supereroe” reduce da una sfida sovraumana e, ovviamente (!) stra-vincente con il diavolo, ma è quel Figlio di Dio che pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, quel servo sofferente annunciato dai profeti, dalla cui piaghe siamo stati guariti.
Gesù ha fatto una scelta di campo, quella di salvare il mondo non sbaragliando il male con la sua potenza o risolvendo i problemi con i miracoli, ma incarnando l’amore fino alla morte e a una morte di croce, fino a scendere negli inferi di ogni uomo (cfr. II lettura) e portargli la buona notizia che Dio ha deposto il suo arco di guerra fra le nubi (cfr. I lettura), ne ha fatto un ponte tra la terra e il cielo, una via sulla quale ci chiama a metterci in cammino: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo».

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