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Pellegrinaggi in calo in Terra Santa è l’effetto dell’Isis

Di Daniele Rocchi

“Ogni evento negativo, come la guerra a Gaza dell’estate scorsa o più recentemente il massacro da parte dello Stato islamico dei 21 egiziani di fede cristiana in Libia, ha sempre un impatto sui pellegrini e sul flusso dei pellegrinaggi. È una reazione viscerale, inconscia, dettata dalla paura impossibile da controllare”. Da Gerusalemme a parlare è monsignor William Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme e vicario patriarcale per la Palestina. Le immagini cruente, le ultime della serie, della morte del pilota giordano in Siria o dello sgozzamento dei 21 egiziani di fede cristiana in Libia, hanno avuto un grande impatto emotivo sull’opinione pubblica mondiale. “Si tratta di fatti che incutono timore – spiega il vescovo che è anche presidente della Commissione episcopale per i pellegrinaggi della Chiesa cattolica di Terra Santa – alimentato dall’errata percezione che i santuari siano nel bel mezzo dei conflitti, cosa che non è assolutamente vera. Gerusalemme, Betlemme e gli altri Luoghi Santi sono sicuri e geograficamente lontani dalla guerra”.

La tensione dell’area sta provocando un calo di pellegrini?

“Va detto subito che i pellegrini continuano ad arrivare ma il calo pare abbastanza evidente. Tuttavia ci sono anche elementi positivi. Nei prossimi mesi è atteso l’arrivo di circa 100mila pellegrini musulmani dalla Turchia. Grazie anche allo sforzo del loro Paese potranno visitare in particolare Gerusalemme, Hebron, dove si trova la tomba dei Patriarchi, e Betlemme. L’arrivo dei pellegrini, musulmani e cristiani, offre importanti opportunità di lavoro, che è ciò che serve a questa terra, ma è anche una risposta alla violenza”.

Si va verso Pasqua, periodo tradizionalmente ricco di pellegrinaggi. È possibile fare previsioni sugli arrivi? Si prevedono defezioni?
“Premesso che si parla di stime, tutte da verificare, credo che si possa prevedere una flessione dei pellegrinaggi di circa il 10%, anche meno. Sono molti quelli che hanno già prenotato e che non hanno intenzione di rinunciare al pellegrinaggio nei Luoghi di Gesù che, voglio ribadirlo, sono assolutamente sicuri e fuori dalla violenza che vediamo ogni giorno in tv e leggiamo sui giornali. I pellegrini possono venire qui in tutta tranquillità. Ma c’è una cosa che vorrei aggiungere…”.

Quale?
“Siamo davanti a un pericolo globale che riguarda tutti e non solo il Medio Oriente, Usa inclusi. Pensiamo a ciò che è accaduto a Bruxelles, a Parigi, a Copenaghen, la paura corre sulla frontiera europea con la Libia a un passo. Ma non dobbiamo farci bloccare dalla paura. Per questo faccio appello ai pellegrini: venite in Terra Santa, è sicura!”.

Ci sono anche problemi economici, data la congiuntura attuale, che potrebbero impedire a molti di venire in pellegrinaggio…

“Da parte nostra, come Chiesa locale, cerchiamo di dare a tutti opportunità per viaggiare in Terra Santa e mi riferisco soprattutto ai più giovani che hanno meno possibilità economiche. Per loro abbiamo pensato di costruire a Beit Jala, a meno di 2 km. da Betlemme, il centro ‘Papa Francesco’. Il 17 febbraio, il Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, ha benedetto la prima pietra. Il progetto, che è stato sostenuto dalla Conferenza episcopale italiana, che ringraziamo ancora per la sua tradizionale vicinanza e solidarietà, prevede una superficie complessiva di 3.840 metri quadrati e, se s’includono gli spazi esterni dei giardini e parcheggi, copre 5 ettari”.

Qual è lo scopo di questo progetto?

“Realizzare un centro di accoglienza per i giovani locali e internazionali. Saranno disponibili ben 56 camere per giovani pellegrini a prezzi economici. La struttura rappresenterà un’importante fonte di occupazione per i cristiani di Beit Jala, di Betlemme e della zona circostante. I lavori dovrebbero essere completati entro il 2015 in modo che la casa possa aprire già all’inizio del 2016. Guardiamo ai giovani che sono il futuro della Chiesa e del Paese”.

A proposito di futuro, il Parlamento italiano dovrebbe votare a favore del riconoscimento dello Stato palestinese, al pari di altri Paesi europei. Il Patriarca Twal ha già esortato l’Italia a muoversi in questa direzione. Ora sembra arrivato il momento…
“Riconoscere lo Stato di Palestina incoraggia i palestinesi a credere nel dialogo che dovrà seguire a questo riconoscimento. Si tratta di un segno di pace. Auspico che il Parlamento italiano si adoperi in tal senso. Quando avremo due Stati, liberi, autonomi, con frontiere certe e sicure, allora sarà pace. Spero che il riconoscimento avvenga in tempi rapidi. Dare soluzione a questo ultradecennale conflitto significa disinnescare tante tensioni e crisi che da questo, direttamente e indirettamente, provengono. La guerra israelo-palestinese ha un impatto immenso sulle vicende del Medio Oriente”.

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