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Daniele Greco, un salto in alto verso Dio

Zenit, Federico Cenci

Ai Campionati europei indoor di salto triplo, nel 2013 a Göteborg, ha conquistato la medaglia d’oro con un salto di 17,70 metri, soli 3 centimetri di distanza dal record italiano assoluto. Per Daniele Greco, giovane promessa dell’atletica originario del Salento, è stato l’acme della popolarità. Hanno fatto il giro delle tv e dei giornali due immagini: quella che lo ritrae quando, terminata la prova, si inginocchia con le mani giunte e bacia il crocifisso che porta in collo; e l’altra in cui, con indosso una maglia bianca che recita “Gesù vive in me” e sul retro “Tutto posso in colui che mi dà forza” (Fil 4,13), compie il giro di pista.
In un mondo dell’informazione che concede poco spazio ai cosiddetti sport minori, la vittoria di Greco attirò l’attenzione soprattutto per il suo inusuale modo di festeggiarla. Aspetto che destò qualche perplessità nel diretto interessato. “All’inizio mi è un po’ dispiaciuto – racconta l’atleta alla rivista Credere -: tutto questo clamore per una maglietta e il risultato, un oro europeo, che finiva in secondo piano. Pensavo di vivere in una società diversa”.

Dispiacere che ha saputo però elaborare alla svelta. “Se la mia testimonianza ha raccolto tutto questo interesse, a maggior ragione dovrò offrirla con ancora più forza e costanza”. E a chi lo accusa di aver manifestato in modo troppo plateale la sua fede in Dio, risponde così: “Se si tratta di ‘bigottismo’ lo sa Gesù, la fede è una cosa seria, non va usata come un’arma per avere notorietà. E io a Göteborg non avevo certo bisogno di quella maglietta per conquistarmi una pagina di giornale. Era sufficiente l’oro. La mia voleva essere semplicemente un’esaltazione del Signore, null’altro”.

Parole che segnano il divario che corre tra questo quasi ventiseienne e lo stereotipo dello sportivo offerto da riviste patinate e programmi tv dediti al gossip. Parole che affondano le radici in famiglia, ventre che ha dato vita alla fede di Daniele Greco. “Provengo da una famiglia religiosa, i gruppi parrocchiali, il coro dove ho sempre cantato e l’esperienza da ministrante che ho portato avanti fino ai 13 anni”, spiega. Gli impegni agonistici lo hanno ora costretto ad abbandonare il coro di Galatone, il suo paese d’origine, ma non hanno smorzato la sua passione per il canto: fa il solista in una frazione della vicina Sannicola, dove le funzioni erano rimaste senza accompagnamento.

“Sant’Agostino diceva che chi canta prega due volte”, commenta Daniele. La cui fede è stata chiamata a una dura prova, quando suo fratello Davide è venuto a mancare, appena diciassettenne, per un incidente sul lavoro. “Un’esperienza che inevitabilmente ti segna, ma che per me è stata anche la dimostrazione di quel che può Gesù – afferma Daniele -. La fede è un grande conforto nei momenti di difficoltà”. Momenti che capitano a tutti e che Daniele affronta affidandosi allo Spirito Santo. Lo invoca con la famosa sequenza: “Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato…”.

La preghiera è la sua carica più efficace. A Göteborg conquistò il gradino più alto del podio nonostante il dolore alla caviglia e una forte infiammazione al pube. E proprio dopo quella vittoria sarebbe voluto andare a Medjugorje per “ringraziare la Madonna per la vita che mi sta regalando”. Ma fu costretto a rimandare il viaggio perché Francesca, sua fidanzata e triplista come lui, era impegnata con gli studi.

Un percorso, quello che Daniele condivide con Francesca, segnato da un legame tutt’altro che superficiale. In un’intervista a Il Mattino di Padova, rilasciò una dichiarazione che dà il senso più alto della festa di San Valentino: “Nel mondo di oggi trovarsi a condividere valori così profondi è difficile ma a noi è successo. Un detto delle mie parti dice: Il vento unisce i fiumi, il Signore unisce le persone. E noi ci siamo trovati e uniti”.

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