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40 battesimi tra i profughi cristiani di Erbil

Di Daniele Rocchi
“Da Mosul non arrivano notizie. Le comunicazioni, soprattutto quelle telefoniche, sono da molto tempo interrotte. Ragion per cui è difficile verificare quanto si vede nelle immagini che in queste ore girano nel web. Tuttavia, alla luce di quanto è accaduto in questi mesi, è impossibile sostenere che in città tutto vada bene. Affermarlo mi pare una bugia”. Se John Cantlie, giornalista da oltre due anni ostaggio dell’Is (Stato Islamico), si dice convinto che a Mosul, la seconda città irachena e sotto il completo controllo dello Stato Islamico da cinque mesi, tutto proceda per il verso giusto, di certo non lo è monsignor Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo della città da cui è fuggito, insieme a migliaia di altri abitanti cristiani e non, per l’arrivo dei miliziani dell’Is. Erano i primi giorni di agosto 2014.
Oggi a Mosul non abitano più cristiani. Le loro testimonianze parlano di chiese chiuse, di altri luoghi di culto distrutti, trasformati in prigioni oppure occupati dai militanti islamici. Ma tutto ciò il reportage dalle strade di Mosul dell’ostaggio inglese, non in tuta arancione ma in più rassicuranti jeans e giubbotto, non viene raccontato. Gli otto minuti della clip mostrano una città trafficata, un mercato pieno di mercanzie, ospedali funzionanti, e un tasso di criminalità prossimo allo zero. “I media dipingono la vita nello Stato Islamico come quella di una società depressa”, spiega nel video il giornalista occidentale che nel ruolo di testimonial pro-Is cerca, probabilmente, di salvarsi la vita. Per strada “migliaia di iracheni che girano dopo decenni di regime di Saddam. Dopo l’invasione americana, i sunniti musulmani possono camminare per strada” fare spesa nel suk dove “si può acquistare di tutto. Questa non è una città che vive nella paura come i media occidentali vogliono dipingerla. È una città normale: ci sono molte luci al neon”.
Monsignor Nona non sembra scomporsi più di tanto. Il racconto, “per nulla verificabile”, del reporter inglese si scontra con la realtà terribile in cui versano le decine di migliaia di sfollati e profughi iracheni riparati a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, proprio per scampare alla furia dei miliziani del califfo Abu Bakr al Baghdadi. Ospitati nelle tende, ammassati in alloggi inadeguati se non addirittura in mezzo alle strade, i rifugiati di Mosul sentono tutto il freddo della precarietà e dell’abbandono e non solo dell’inverno. “Le feste natalizie sono quasi terminate e hanno portato conforto ai nostri cristiani raccolti in gran parte ad Ankawa, il sobborgo cristiano di Erbil – racconta il giovane arcivescovo caldeo – non abbiamo potuto fare tanto, le condizioni difficili ce lo hanno impedito ma le messe nelle tende-cappelle sono state lo stesso molto partecipate”. Ieri ha dichiarato mons. Nona, “celebriamo l’Epifania e con i cristiani di Ankawa ci raccoglieremo per partecipare al battesimo di 40 neonati, molti dei quali nati qui dalle famiglie di rifugiati. È un’occasione per fare festa e guardare con maggiore speranza al futuro”. Cosa potrà riservare il futuro mons. Nona non lo dice. Il suo desiderio lo affida alla preghiera, soprattutto per questi bambini battezzati: “Pregheremo perché la luce di Gesù possa donarci la speranza di continuare a vivere la nostra fede, con coraggio e senza paura e perché possa mettere nel cuore di chi governa il desiderio di pace. Non abbiamo bisogno di odio ma di pace”.
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