X

La teologia dell’immagine di San Giovanni Damasceno

San Giovanni Damasceno, l’ultimo padre della Chiesa vissuto in oriente a cavallo fra il VII e l’VIII secolo ha elaborato una particolare teologia dell’immagine che costituirà l’impalcatura per le definizioni dogmatiche sulla liceità delle immagini durante il VII concilio ecumenico tenutosi a Nicea nel 787. Questa visione teologica finirà per essere una peculiarità del cristianesimo.

Il Damasceno è nato nella Siria occupata dall’islam, una religione aniconica, e ha sviluppato le sue riflessioni durante la lotta iconoclasta voluta dall’Imperatore di Costantinopoli Leone III Isaurico. Dunque, da un punto di vista storico, è sorprendente come egli sia riuscito a maturare una visione dell’immagine in un clima culturale così ostile.

Innanzitutto per il Damasceno l’immagine è qualcosa di voluto da Dio sin dalla Creazione, poiché egli stesso “è stato il primo che ha fatto un’immagine ed ha mostrato delle immagini. Infatti egli ha creato l’uomo secondo la sua immagine”.

Ma se Dio si fosse limitato a ciò e fosse rimasto nelle altezze dei cieli, per noi sarebbe stato impossibile rappresentarlo. San Giovanni Damasceno infatti si chiede: “Come sarà raffigurato l’invisibile? Come sarà ritratto ciò che è senza figura? Come sarà delineato ciò che non ha quantità, né grandezza, né limiti?”.

È solo grazie al Mistero dell’Incarnazione che il divino si può rappresentare e ciò che per sua natura è invisibile diventa visibile. Scrive infatti il nostro: “Invece, è chiaro che, quando tu abbia visto che colui che è incorporeo è diventato un uomo a causa tua, allora farai l’immagine della sua forma umana… ed esporrai alla vista colui che ha accettato di essere visto”.

Per San Giovanni Damasceno le immagini di Cristo che noi produciamo ci consentono di continuare l’esperienza che fecero gli apostoli e i discepoli, infatti essi “videro corporalmente il Cristo, le sue sofferenze e i suoi miracoli, ed udirono le sue parole: anche noi desideriamo vedere e udire. Quelli videro faccia a faccia, poiché egli era presente corporalmente. Ma noi, poiché egli non è presente corporalmente, attraverso i libri udiamo le sue parole e attraverso la pittura delle immagini, contempliamo l’effigie della sua figura corporea”.

Il binomio parola-immagine ci permette di entrare in comunione con Cristo che ha scelto proprio la via dell’incarnazione per donarsi all’uomo: “Come attraverso le parole sensibili noi udiamo con orecchie corporee e pensiamo le cose spirituali, così attraverso la visione corporea ci eleviamo alla visione spirituale. Per questo il Cristo assunse corpo ed anima e cioè perché l’uomo ha corpo ed anima”.

Così concepito, il rapporto con Dio non è un vago spiritualismo. Anzi il Damasceno si sente in dovere di rimproverare che si avvicina al Dio cristiano soltanto attraverso l’anima: “Se tu dici che bisogna accostarsi a Dio soltanto con la mente, allora elimina tutte le cose materiali, le lampade, l’incenso profumato, la stessa preghiera espressa attraverso la voce, gli stessi sacramenti divini che sono compiuti con la materia, pane, il vino, l’olio dell’unzione, la figura della croce”.

Se rappresentiamo Cristo, possiamo rappresentare anche tutti quelli che lo hanno seguito. Scrive infatti San Giovanni: “Se gli amici di Cristo sono destinati ad essere eredi di Dio, coeredi di Cristo e partecipi della gloria e del regno di Dio, come essi possono non essere compartecipi della sua gloria sulla terra?”.

Grazie a queste premesse logiche e teologiche, sia in oriente che in occidente, si assisterà a un’incredibile sviluppo delle arti figurative. Ma nelle vicende di San Giovanni Damasceno non è da trascurare il suo rapporto con il potere politico, verso il quale ha sviluppato un atteggiamento simile a quello che fu dei martiri.

Egli, da una parte, voleva rispettare l’autorità civile dell’imperatore, dall’altra, rivendicava la propria libertà nelle cose di Dio e si rivols a Leone III Isaurico con queste parole: “Ora noi siamo sottoposti a te negli affari della vita materiale, nei tributi, nelle imposte, nei commerci, per i quali a te è stato affidato il potere su di noi. Ma nell’ordinamento ecclesiastico noi abbiamo i pastori che ci hanno annunziato la parola e hanno posto il loro sigillo alla legge ecclesiastica”.

Nicola Rosetti: