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Spetta ai musulmani il “controllo sociale”

La notizia non è nuova, ma rilanciata da una voce ufficiale fa oltremodo alzare le antenne. Guilles de Kerchove, coordinatore Ue contro il terrorismo, spiega che sarebbero più di 3mila i cittadini europei arruolatisi nelle fila dell’esercito dell’Is (Islamic State) che sta seminando morte e distruzione in Medio Oriente, al punto da scatenare l’attuale reazione militare degli Stati Uniti e delle forze occidentali e arabe alleate. Lo stesso de Kerchove lancia un allarme al mondo intero: i bombardamenti “alleati” in Siria e Iraq potrebbero far ulteriormente crescere gli “arruolamenti” di giovani europei pronti a morire per la causa del Califfato, nonché suscitare rappresaglie da parte dei jihadisti o di altre forze terroristiche presenti nei quattro angoli del pianeta. Nessuno, dunque, può sentirsi al sicuro e attentati o rapimenti o decapitazioni cominciano a togliere il sonno a Parigi come a New York, a Londra come a Roma o Berlino.
Si sa peraltro che il Califfato fa esplicito – anche se blasfemo – riferimento alla religione islamica. La quale affonda le sue origini storiche e culturali nella regione araba, ma oggi è diffusa in ogni continente, con comunità più o meno numerose anche in Europa e dunque in Italia. Comunità spesse volte integrate nelle realtà territoriali e nella “ferialità” della vita locale, pur marcando talune differenze sul piano dei costumi e della vita pubblica (la questione delle moschee e dei centri culturali islamici, il ruolo della donna nel contesto familiare, gli abiti e i segni religiosi…). Si sa peraltro che l’Islam si caratterizza per una pluralità di autorità morali e spirituali caratterizzanti le singole comunità: gli imam sono figure stimate e la loro parola aiuta i fedeli musulmani a vivere la propria esperienza di fede e umana alla luce del Corano nei rispettivi contesti sociali.
Proprio questa presenza, ormai piuttosto estesa e radicata, delle comunità islamiche in Europa, nei Paesi occidentali e nel resto del mondo, potrebbe contribuire – in questa fase di incertezza, di timori, di minacce – a rasserenare gli animi, a diffondere parole di pace e di speranza, come stanno già facendo alcuni imam che prendono le distanze sia dalla ferocia jihadista, sia, concretamente, dalla costituzione dell’Is. E, non di meno, dagli arruolamenti nell’esercito Is.
Da cittadini italiani o francesi, spagnoli o argentini, statunitensi o giapponesi, gli stessi fedeli islamici hanno certo a cuore il bene del Paese in cui vivono con le loro famiglie, in cui fanno crescere i propri figli, in cui lavorano, pregano, stringono amicizie. Anche dalle comunità islamiche, dunque, può giungere un contributo alla sicurezza e alla pace, mediante il messaggio di fraternità che scaturisce da ogni grande religione, tramite l’educazione dei giovani, ma anche mediante una sorta di pur discreto “controllo sociale”, e con una stretta collaborazione con le autorità pubbliche dei Paesi in cui esse vivono.
Ezzedin Elzir, imam di Firenze e presidente dell’Ucoii (Unione delle comunità islamiche d’Italia), voce ascoltata a livello europeo, ha detto più volte e chiaramente: “Il rispetto degli esseri umani, della vita e della dignità è la base di tutto”; “Chi uccide una persona uccide tutta l’umanità”. L’alleanza e la collaborazione fra coloro che credono ai valori fondamentali della vita e della pace può essere la chiave di volta in questa, nuova, difficile fase storica.
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