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Raccontare i migranti ma attraverso i loro sguardi su di noi

Di Graziella Nicolisi
“Ne sono sbarcati duecento a Lampedusa”. “Cento migranti sono in arrivo sulle coste agrigentine”. “Un barcone carico di disperati è affondato al largo di Pozzallo”. Settimana dopo settimana, ci stiamo quasi abituando a queste notizie sgranate dai giornali e dalla televisione come un rosario dolente. Ancor più in Sicilia, dove, a seguito della cosiddetta “Primavera araba”, l’arrivo di profughi provenienti dal Nordafrica ha raggiunto ormai punte spaventose. Strano destino quello dell’isola siciliana, che non riesce a trattenere l’emorragia dei suoi figli in cerca di lavoro, ma si ritrova ad accogliere un numero straordinario di migranti, “poveri ancora più di loro”. Il rischio è che la ripetitività degli sbarchi non faccia più notizia, mentre il compito del giornalista è quello di “continuare a tenere desta l’attenzione, interrogarsi, cercare di capire”. Lo hanno fatto a Ragusa i partecipanti al XXIII seminario di aggiornamento professionale della Federazione italiana settimanali cattolici, nel solco tracciato dal sacerdote e giornalista, monsignor Alfio Inserra. “Raccontare i migranti” il tema dell’incontro, con cui si sono accesi i riflettori su una vera e propria “emergenza” a cui le coste siciliane non erano preparate, e che “non possono affrontare da sole”.
Favorire la conoscenza. Un argomento che ormai fa parte a pieno titolo della cronaca locale per cui, “se è vero che i settimanali diocesani hanno il compito di descrivere il territorio in tutte le sue sfaccettature, ormai non si può prescindere dal racconto del fenomeno migratorio”. Dal seminario è emersa anzitutto la presenza di “pregiudizi duri a morire” nei confronti dei migranti, alimentati dalla “paura atavica dell’altro, del diverso”. “Non c’è più posto per noi”; “non siamo più padroni a casa nostra”, “stanno invadendo le nostre città”: si può sintetizzare così la natura dello stigma verso i migranti, secondo il sociologo Salvo Squillaci. Ciò non fa altro che “alimentare aree di insofferenza”, paradossalmente in un popolo come quello italiano (e meridionale in particolare) che ha alle sue spalle un passato di emigrazione, troppo spesso dimenticato. Non è facile combattere l’ignoranza, “favorita dalla diversità di lingue e culture”, per cui l’aiuto fornito da interpreti e mediatori culturali è ancora insufficiente. Compito dell’informazione è quindi “cancellare i luoghi comuni, ristabilendo la verità dei fatti attraverso la conoscenza”, senza cavalcare l’onda “dell’emotività e degli allarmismi”.
Dare voci e volti al dolore. Sono gli stessi operatori dell’informazione diocesana locale – quelli che, soprattutto in Sicilia, si ritrovano a parlare ormai abitualmente del fenomeno migratorio – a tracciare la linea da seguire. “Non restare imbrigliati nei freddi numeri degli sbarchi, ma dare voci e volti reali a questi disperati e a chi se ne prende carico”. Aver cura dei termini utilizzati, perché “clandestino, migrante, richiedente asilo, sono parole che hanno una connotazione specifica e vanno distinti fra di loro”. “Spiegare ai lettori le cause reali e i motivi per cui i migranti decidono di lasciare i loro Paesi d’origine, rischiando la vita”. E ancora, “recuperare il linguaggio originale, ridare i nomi a queste persone”. Lo suggerisce il direttore della Caritas diocesana di Noto, Maurilio Assenza, secondo il quale “per risvegliare le coscienze può essere utile raccontare i tanti gesti di autentica umanità a cui assistiamo dopo gli sbarchi”, dalle anziane di Scicli che offrono le lenzuola più belle per avvolgere i cadaveri, ai sindaci del Siracusano che mettono a disposizione i loculi dei loro cimiteri per dare degna sepoltura ai migranti morti.
“Raccontare i migranti con equilibrio e passione”. È sempre Assenza a suggerire di “ascoltare il modo in cui i migranti parlano di noi”. I loro racconti, come quello commovente di un bimbo che si stupisce dei nostri garage “costruiti per ospitare le automobili, e non le persone”, possono aiutarci a guardare la nostra società con occhi nuovi. E darci l’occasione per ascoltare “i loro sogni, non solo i loro bisogni”. Se gli operatori dell’informazione cattolica vogliono trarre idealmente dal seminario Fisc uno spunto di riflessione, questo va senz’altro nella direzione di un racconto dei fatti che sia “quanto più veritiero e realistico possibile”. “Vorremmo che il fenomeno migratorio fosse raccontato con equilibrio e passione”, ha auspicato il vescovo di Ragusa monsignor Paolo Urso nel suo intervento introduttivo, e lo ha ripetuto anche nel suo saluto finale ai partecipanti. “Raccontare i migranti equivale a dar loro delle speranze reali. Il giornalista è chiamato ad alimentare questa speranza avendo a cuore il bene comune al di là delle impressioni più immediate”. È l’impegno ribadito dal presidente nazionale Fisc Francesco Zanotti, secondo cui “i giornali cattolici hanno il compito di dare voce ai protagonisti del territorio, mettendosi sempre dalla parte degli umili”. Compresi i migranti.
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