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Il sogno: “Casale Comune decamorrizzato”

Di Andrea De Caro

“Benvenuti a Casal di Principe, Comune decamorrizzato”. È la scritta che tanti cittadini casalesi vorrebbero vedere esposta, un giorno, all’ingresso della propria città. Una provocazione, ovviamente, ma anche un augurio che, per ora, viene sussurrato timidamente. Sarebbe un messaggio di cambiamento forte, rivoluzionario, per un Paese, l’Italia, nel quale tutto deve cambiare perché tutto resti com’è, giusto per ricordare l’amara considerazione di Tancredi nel Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Una nuova speranza. 
Soprattutto se quel messaggio partisse proprio da lì, da Casal di Principe. Un primo passo in questa direzione è stato fatto poche settimane fa con l’elezione a sindaco di Renato Natale, medico e volontario, che da anni lotta contro la camorra sulla scia di don Peppino Diana, il giovane sacerdote di Casal di Principe ammazzato nel 1994 dalla camorra all’interno della chiesa di san Nicola di Bari. La stessa chiesa che oggi accoglie tante persone che hanno detto “no” alla camorra e si sono strette attorno al “Comitato don Peppe Diana” e alle tante associazioni di lotta alla criminalità organizzata che sono nate negli ultimi anni. Movimenti partiti dal basso, dalla gente comune, quella che quotidianamente subisce e vive sulla propria pelle il malaffare. Associazioni di volontari che crescono continuamente di numero e sono riuscite a rompere il muro di omertà che per decenni ha tenuto in ostaggio tutta Casale. Grosso paesone del Casertano balzato agli onori della cronaca a causa del “clan dei Casalesi” e ormai comunemente associato, nell’immaginario popolare, alla “culla” della camorra. Come se la camorra fosse nata qui, tra le campagne, e da qui esportata in tutta Italia e in mezzo mondo.

Uno “Stato nello Stato”. Non è così. Casale, così viene chiamato in napoletano il Comune dell’agro-aversano, è soltanto una delle tante città in cui la camorra ha preso il sopravvento sostituendosi allo Stato. Non un “contro-Stato”, non un qualcosa in contrapposizione alle istituzioni, ma piuttosto uno “Stato-nello-Stato”, in cui l’organizzazione criminale si è strettamente legata, a doppio filo (fatto di partecipazione e controllo), alle stesse istituzioni. È la camorra che diventata Stato gestisce a proprio piacimento, grazie alla violenza e alla connivenza, la “res publica”. Una devianza che accomuna diverse realtà italiane e che è stata resa possibile dalla complicità delle istituzioni, in tutti i suoi gradi. A Casal di Principe per anni “lo Stato non è vero che non c’era. C’era, ma era connivente con la camorra. Era il braccio legale delle organizzazioni criminali”, ci spiega uno dei pochi avventori del bar di piazza Vittorio Emanuele disposto a parlare. “Di noi si parla sempre male, come se fossimo tutti delinquenti. La verità – prosegue Michele (nome di fantasia) – è che qui ci sono tante persone oneste che sono state abbandonate alla mercé dei criminali. Perché faceva comodo. Perché a difenderci non si guadagnava niente e si poteva perdere tanto”. Le parole di Michele spingono anche Antonio Schiavone a sfogarsi, dopo aver precisato di non avere nessuna parentela con il clan Schiavone. “Le istituzioni per anni hanno voltato la faccia dall’altra parte facendo finta di non vedere le nostre proteste, le nostre marce. Nessuno diceva niente come se noi fossimo invisibili. Solo dopo la morte di Peppino (don Giuseppe Diana, ndr) qualcuno si è ricordato di noi. Tutti qui per i funerali, ma subito dopo ci hanno lasciato nella stessa situazione. I politici hanno fatto solo chiacchiere”.

La svolta con don Diana. Ma quell’efferato omicidio ha smosso le coscienze e permesso a tante persone oneste, che ancora non avevano trovato il coraggio, di uscire allo scoperto e di gridare “basta!”. Di gridare che Casal di Principe non è solo camorra. Che ci sono tante persone disposte a combattere la criminalità, ma hanno bisogno di sostegno, di non essere lasciate sole. Perché la solitudine uccide e l’unico modo per cambiare “è quello di essere tutti uniti e lottare quotidianamente l’uno al fianco dell’altro” sottolinea donCarlo Aversano, parroco della centralissima Chiesa del san Salvatore. “In questi anni si è fatto molto, sono nate tante associazioni. Ma dobbiamo continuare su questa strada. L’elezione a sindaco di Renato (Natale, ndr) è sicuramente un bel segnale. Ce lo auguravamo tutti e la sua affermazione è la conferma che qualcosa è cambiato. Che qui ci sono tante persone – prosegue don Carlo – che continuano a lottare contro la criminalità e continuano a sperare di poter cambiare questo paese”. Speranza che ritrovi negli sguardi e nelle parole dei volontari del Comitato don Peppe Diana o nell’associazione “Libera” che a Casale è in prima linea. Speranza che è stata alimentata dal nuovo corso dell’amministrazione comunale che nel sindaco Natale ha un punto cardine per la lotta alla camorra, la solidarietà e l’accoglienza degli immigrati. Una presenza quest’ultima che si nota facilmente per le strade di Casal di Principe dove tanti immigrati, per la maggioranza nigeriani, girano in bici dopo aver finito la giornata di lavoro nei campi. Anche loro, molto restii a parlare di camorra, sperano che la scritta sullo striscione esposto al fianco del neo-sindaco Natale durante i festeggiamenti diventi la parola d’ordine per il futuro: “É nu juorn buon!” (è un giorno buono).

Redazione: