bagnascop
Di M. M. Nicolais
REGIONE MARCHE – Il “virus dell’individualismo” è “una radice avvelenata”. Ma la nostra gente vive “il senso della famiglia, l’attaccamento al lavoro, il gusto di rapporti solidali”, e ha “l’istinto del bene e della giustizia”. È il ritratto dell’Italia disegnato dal cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, secondo il quale c’è “un Paese sommerso e silenzioso a fronte di una cultura chiassosa e invadente, che vuole imporre la sua visione della persona, della vita, della famiglia, della morte, attraverso la lente deformante dell’individualismo”. Aprendo nel pomeriggio del 22 novembre al Teatro delle Muse di Ancona, il secondo Convegno ecclesiale delle Marche, in corso fino a domenica tra Ancona e Loreto sul tema “Vivere e trasmettere oggi la fede delle Marche”, il cardinale è partito dal ricordo dei suoi anni trascorsi da vescovo a Pesaro e dal cammino “esemplare per il metodo del dialogo, per il coinvolgimento delle realtà diocesane e il profondo legame con il territorio”, svolto dal Comitato preparatorio in vista di questo appuntamento, che si svolge esattamente a vent’anni dal primo e che costituisce a pieno titolo “una tappa verso il Convegno Ecclesiale di Firenze 2015”. Tra le sfide più urgenti da raccogliere: fare di ognuna delle nostre comunità una “casa” e “rifare il vocabolario dell’umano”, visto che “le parole chiave dell’umanità come amore, libertà, famiglia, vita e morte, persona e società hanno assunto altri significati rispetto a quelli che hanno fatto la civiltà”.
Storditi da “mille voci”. “Alzarsi e andare: quando la fede è ardente e scalda il cuore, allora diventa contagiosa e scalda il mondo”. È l’imperativo del cardinale Bagnasco per le chiese delle Marche. Dunque, la chiave è la “missionarietà”. “L’uomo moderno – l’analisi del cardinale – è stordito da mille voci che gli gridano che ciò che conta è il successo e il denaro, il piacere e il potere; che non esiste bene e male perché ognuno è legge a se stesso e che la società è dei forti e dei furbi”. Di fronte a questo “diffuso smarrimento”, del quale “si propagandano le espressioni più gravi come se fossero tutta la realtà dell’umano”, la coscienza contemporanea “rischia di pensare che la fede non è più in grado di dire alcunché al mondo” e “il credente si trova come tra due voci: quella della fede ecclesiale e quella del contesto culturale”, che “prorompe e dilaga capovolgendo il significato delle parole più belle dell’umanità come libertà e amore, vita e famiglia, società”.
Il calore della casa. “Le nostre comunità devono crescere nelle relazioni per spandere il calore della casa”. È la ricetta del cardinale Bagnasco per vivere e trasmettere la fede. “Comunità fredde, burocratiche, dove i servizi a volte diventano dei piccoli centri di potere personale, non attraggono ma respingono chi si affaccia alla porta”, ha detto citando l’immagine di Giovanni XXIII della parrocchia come “fontana del villaggio”. Chiesa come “casa”, dunque, perché “in una società fatta di solitudini, la gente cerca la casa, il luogo di rapporti che scaldano il cuore e aiutano a vivere”.
“Le nostre Chiese marchigiane si sono alzate!”. Con queste parole monsignor Claudio Giuliodori, amministratore apostolico di Macerata e coordinatore, ha definito il secondo Convegno ecclesiale marchigiano, che ha rivolto un particolare saluto ai 15 rappresentanti delle “Chiese sorelle”, tra cui esponenti del mondo ebraico e del mondo cristiano. “La Chiesa non è fuori dalla storia, è amica dell’umanità e desidera offrire la sua collaborazione per il bene di tutti”. A ricordarlo è stato monsignor Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona-Osimo: un compito, questo, ancora più essenziale da svolgere in un tempo come il nostro, caratterizzato da “diffusa povertà, squilibri sociali, ferite psicologiche profonde”. “Il secondo Convegno ecclesiale marchigiano si apre ad Ancona in un tempo che domanda alla Chiesa un supplemento di speranza”, ha detto monsignor Luigi Conti, arcivescovo di Fermo e presidente della Conferenza episcopale marchigiana, introducendo i lavori al Teatro delle Muse e auspicando che da questi giorni nasca l’impegno a “intraprendere con coraggio, determinazione e gratuità una rinnovata azione di carità verso vecchie e nuove povertà”.
“Non siamo più un’isola felice”. È l’analisi del sociologo Sergio Belardinelli sulla regione delle Marche, in cui tra il 2012 e il 2013 ben 26mila occupati hanno perso il posto di lavoro e si registra un costante aumento di disoccupati di età compresa tra i 15 e i 24 anni, anche se con percentuali minori rispetto alla media nazionale. Calano i matrimoni, e la famiglia “diventa sempre più fragile, più piccola e più povera”. Cresce, inoltre, il fenomeno dell’immigrazione, con 138.800 stranieri residenti. Eppure, ha assicurato l’esperto ,”vogliamo trasformare questo tempo di crisi in un laboratorio di speranza”, partendo dai molti elementi positivi della “marchigianità”.

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