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Il costo della politica mai più tassa occulta

Di Francesco Bonini
La Camera ha approvato un disegno di legge del governo il cui titolo importante, ma troppo lungo, ci avverte che è materia delicatissima: “abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore”. I “rimborsi elettorali”, si legge nella relazione di minoranza “sono arrivati a costare alle casse dello Stato oltre 190 milioni di euro all’anno”, anche se “da ultimo, la legge 6 luglio 2012, n. 96, li ha ridotti a 91 milioni di euro annui”. Un fiume di denaro contro il quale i cittadini si erano già pronunciati pressoché all’unanimità in un referendum di vent’anni fa. Già, perché il “finanziamento pubblico” , introdotto nel 1974, era stato abolito, per poi ritornare sotto forma di rimborsi, cresciuti senza controllo.
Che fare allora? La domanda serpeggia lungo gli articoli di un provvedimento che riafferma la filosofia di sostenere con risorse pubbliche i partiti, attraverso un processo di abolizione – rimodulazione del finanziamento. Il finanziamento diretto/rimborso è sostituito con agevolazioni fiscali: detrazioni per le “erogazioni liberali” e destinazione volontaria del 2 per mille Irpef. Rispetto alla proposta del governo la Camera ha eliminato una serie di benefit di natura non monetaria, come immobili pubblici a canone agevolato e spazi radiotelevisivi a titolo gratuito, rafforzando una specie di paracadute per i finanziamenti e per il personale, qualora con le nuove norme non si raggiungano livelli prefissati. Confermata anche l’attuazione graduale.
L’accesso ai nuovi finanziamenti indiretti è condizionato al rispetto di requisiti di trasparenza e democraticità. Viene valorizzata una “Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici”, già istituita dall’ultima riforma del 2012, composta da cinque magistrati, presso la Camera dei Deputati, che terrà un registro dei partiti politici ai fini dell’accesso ai benefici. Dopo quasi settant’anni è una specie di prima attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, esplicitamente richiamato.
I risparmi saranno devoluti al fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, cioè del nostro abissale debito pubblico. Ci saranno? È la strada giusta quella imboccata? La parola passa ora al Senato. Certo, liberarsi almeno in parte di quella che spesso sembra una tassa occulta è già una buona notizia. Ma non basta. I partiti, ancora finanziati, devono essere molto più efficienti: le risorse che continuiamo ad elargire reclamano ovviamente controlli, ma soprattutto proprio efficienza. Che si deve riverberare in tutta la macchina rappresentativa ed istituzionale, ingolfata, troppo costosa, e di conseguenza poco produttiva. I partiti sono necessari, ma devono lavorare bene, per rendere la cosa pubblica più efficace e rappresentare, non usare, i cittadini elettori.
La strada da fare è molta. E tutta in salita.
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