Cosa può dire e fare la Chiesa oggi per la scuola? In che modo le scuole cattoliche possono contribuire all’impegno di tutti per l’educazione delle nuove generazioni? L’umanesimo cristiano può dialogare costruttivamente con le altre visioni culturali per offrire ai giovani prospettive di futuro? Sono state queste alcune delle domande con le quali si è aperto oggi a Roma il “laboratorio nazionale” indetto dalla Cei sul tema “La Chiesa per la scuola”. Presenti diverse centinaia di dirigenti, insegnanti, operatori di scuole cattoliche di ogni ordine e grado, oltre che della formazione professionale, il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, ha indicato le questioni di fondo che motivano l’impegno della Chiesa in favore dell’ educazione, al fianco degli altri attori sociali quali lo Stato, il sistema scolastico pubblico, le realtà culturali, le fondazioni. “Una società che non investa energie economiche e umane nella scuola, nella formazione e nell’innovazione, finisce per subordinare l’uomo al lavoro e al denaro – ha detto -, come appare in modo drammatico nella finanziarizzazione dell’economia e nella conseguente subordinazione del lavoro alla finanza, elemento che interpella fortemente l’ambito educativo”. La visione della Chiesa italiana circa l’educazione è segnata da quella che Papa Benedetto aveva definito “emergenza educativa” e che la Cei ha tradotto nel cosiddetto “decennio dell’educazione” (2010-2020), orientando gli sforzi di tutte le realtà pastorali proprio nella direzione di offrire ai giovani i valori spirituali e culturali sui quali impegnarsi verso il futuro.

Luci e ombre della scuola italiana. Uno “spaccato” della scuola italiana, con pregi e difetti, punti di forza e debolezze, è stato offerto ai presenti dalla relazione per immagini proposta da Andrea Gavosto, direttore della “Fondazione Giovanni Agnelli”, “che proprio al tema della formazione sta dedicando in questi ultimi anni – ha detto in apertura il relatore – i suoi sforzi principali”. “Benché gli investimenti pubblici nel sistema scolastico siano molto rilevanti – ha affermato – non sempre i risultati sono all’altezza delle attese. Basti pensare a quanto emerge da ricerche specialistiche sulle competenze linguistiche, di lettura, scientifiche, culturali o altro. L’Italia si colloca spesso nelle fasce medio-basse delle graduatorie europee o internazionali”. “All’interno di queste classifiche – ha poi aggiunto Gavosto – capita di cogliere risultati ancora più sorprendenti e non presenti in altre nazioni. Ad esempio, su vari livelli di competenza gli studenti della Lombardia si collocano nelle fasce alte, come i Paesi del Nord Europa, mentre quelli di Calabria e Sicilia li troviamo a livello del Cile o della Turchia. È chiaro – ha concluso – che siccome il sistema scolastico è il medesimo, il reclutamento dei docenti è uguale per tutti, ci sono altri fattori sociali e ambientali che influenzano le capacità di apprendimento degli studenti, colpendo soprattutto nelle regioni più deboli”. Gavosto ha anche citato aspetti quali il “tempo pieno” molto ricercato dalle famiglie e non disponibile per tutti; il grado dell’apprendimento nelle scuole elementari che appare soddisfacente e il declino di livello che avviene con le medie inferiori; il ruolo ancora decisivo svolto dalla famiglia di provenienza, circa le scelte di studio o lavoro dei figli.

Istruzione poco “stimata”. Diverso il discorso di Elisa Manna, responsabile delle politiche culturali del Censis (Centro studi e indagini sociali), secondo la quale “il tema dell’istruzione è sottostimato nel nostro Paese, basta considerare che nell’ultima campagna elettorale se ne è parlato poco o nulla”. La studiosa ha invece messo l’accento sulle “derive” che sono emerse negli ultimi decenni, che hanno prodotto fenomeni quali “la diffusione dell’individualismo, del soggettivismo, del relativismo etico, con il risultato di vedere oggi, specie tra i giovani, vere e proprie ‘macerie morali’”. Manna ha citato fattori determinanti quali i “modelli proposti dalle tv commerciali, il ‘ribaltamento’ della scala dei valori, la ‘trasgressione’ che viene assunta come fattore di vanto e non di vergogna come in passato”. Secondo la relatrice, “un insieme di fatti ed eventi, dalla diffusione di internet ai video-poker, dal rampantismo amorale all’idolatria di figure da ‘grande fratello’, hanno destrutturato i percorsi educativi e i docenti oggi fanno fatica quanto mai ad essere accettati dai giovani come figure di riferimento”. Ad avviso della sociologa “occorre che nella scuola s’inserisca a tutti i livelli lo studio della ‘educazione ai media’, come materia che insegni a salvaguardare la propria autonomia di giudizio rispetto all’invadenza della comunicazione di massa”.

Avere “passione” educativa. Come contributo alle riflessione che i convegnisti faranno nei “laboratori” tematici fino a domani, è stata anche proposta la relazione di un docente di filosofia, Marco Tibaldi, che ha parlato della “passione educativa” e dei fattori che potrebbero scoraggiare i docenti, oggi, di fronte a una apparente “sordità” dei giovani. “In realtà – ha affermato – il ‘venerdì santo’ dell’educazione odierna, dove sembrano prevalere le ‘passioni tristi’, può precedere la ‘resurrezione’. Infatti, se i mali consistono nel relativismo e nichilismo imperanti, i docenti cristiani sanno che Dio non abbandona il suo popolo ed è già al lavoro nel cuore dei giovani. Educare – ha sottolineato – significa avere fiducia che nel cuore del discente lavora lo spirito. Occorre quindi osservare con attenzione, cogliere questi segnali di un lavorio interiore da cui spesso scaturiscono sorprese. E poi – ha concluso – i docenti ed educatori devono partire da un dato: quello di accogliere la persona come è, stimandola e accettando i suoi tempi. Questo è il segreto della pedagogia che, come Dio, ‘dice-bene’ cioè benedice”.

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