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Lettera al Papa a nome dei Rom

“Una bottiglia lanciata in mare aperto” con la speranza che arrivi nelle mani di Papa Francesco. Utilizza questa immagine padre Arthur Hervet per descrivere la lettera che ha scritto al Santo Padre per esprimergli la “gioia” di avere un Papa che con gesti concreti fa vedere al mondo “l’amore di Dio e della Chiesa per i più poveri”. Padre Arthur è un religioso assunzionista. Un sacerdote di Lille, città del profondo Nord della Francia. Classe 1938, ha alle spalle una vita spesa per le persone più vulnerabili della società: molto attivo negli ultimi anni nella difesa dei rom, ha preso iniziative coraggiose, forse anche un po’ sopra le righe, per dare voce a una minoranza tra le più stigmatizzate in Europa. Battaglie che lo hanno visto in prima linea gli anni scorsi per contrastare la politica degli sgomberi dell’ex presidente della Repubblica Nicholas Sarkozy, fino a prendere la coraggiosa decisione di restituire simbolicamente una medaglia al Merito ricevuta nel 2010. La popolazione rom, composta da 10-12 milioni di persone, è una delle minoranze più grandi e svantaggiate d’Europa. Quasi l’80% vive nei Paesi membri dell’Unione europea e in quelli candidati all’ingresso. Ciò nonostante, sono tra i gruppi più sistematicamente discriminati ed esclusi d’Europa. Il 2010 fu un anno difficilissimo per i rom di nazionalità romena che si trovavano in Francia. Davanti all’intransigenza francese, Bucarest non protestò e i voli Francia-Romania che riportavano in patria i rom, continuarono senza sosta. “Sono persone che non hanno diritto di lavorare, di mangiare – dice padre Arthur -, certe volte si ha anche l’impressione che non abbiano diritto di respirare”.

Anche il 2013 non è iniziato bene. Una serie d’incendi nel mese di marzo sono scoppiati in accampamenti rom nelle periferie di Lille e Parigi, per fortuna e per miracolo senza fare vittime e feriti. Ma il fuoco ha distrutto tutto. E intere famiglie sono dovute evacuare. Anche in questo caso p. Arthur era lì. “Per fortuna non c’era nessuno – racconta -. Siamo andati e abbiamo trovato queste persone che cercavano di recuperare tra le ferraglie il recuperabile. Ora sto raccogliendo un po’ di soldi per alloggiare queste persone, per comprare caravan nuovi, per evitare che queste persone, che tante donne e bambini passino la notte al freddo”.

Dal Nord al Sud del Paese, la situazione dei rom non cambia. E gli sgomberi sembrano segnare il passo di questa popolazione non voluta da nessuno. Giovedì 28 marzo, alcune famiglie rom di nazionalità romena e in maggioranza ortodossa, sono state cacciate da un terreno di Villeurbanne, nella periferia di Lione, dove avevano costruito dei rifugi per passare l’inverno. E ad accoglierle anche in questo caso è un parroco di nome Matthieu Thouvenot. “Nessuna misura di accompagnamento – dice – è stata proposta, contrariamente a quanto prevede la circolare interministeriale del 26 agosto 2012. E si sono ritrovati per strada, senza bagaglio, sotto una pioggia fredda. Le diverse amministrazioni contattate non hanno proposto alcuna soluzione e mi sono domandato che cosa avrebbe fatto Papa Francesco se si fosse trovato nella stessa situazione. E così ho accettato di accoglierli momentaneamente nella sala parrocchiale”. Nel gruppo, ci sono 25 bambini tra 1 e 6 anni. La solidarietà è contagiosa: la parrocchia mette in atto una vera a propria gara di accoglienza. C’è chi porta coperte, chi si prende l’incarico di preparare i pasti. Venerdì Santo, il cardinale Philippe Barbarin è andato a rendere visita alle famiglie: “Sono venuto qui per dire loro che la Chiesa li ama e li accoglie. Non possono rimanere per strada. È troppo freddo”.

Dopo l’incontro di Papa Francesco nel carcere minorile. Il gesto di Papa Francesco di andare in un carcere minorile di Roma Giovedì Santo ha lasciato il segno nel cuore di tanti sacerdoti impegnati in prima linea nelle periferie anche di questa vecchia Europa. “Caro Padre – scrive Hervet a Papa Francesco – è una bottiglia in mare che mi permetto di inviarvi. Conosco e mi rallegro del vostro impegno per i poveri”. “Papa Rashaï”, lo chiama con lo stesso nome con cui vengono chiamati i preti che vivono con les gitans. “Sono anni – racconta p. Arthur – che lavoro nelle prigioni, tra gente che vive di espedienti sulla strada, tra gente che per vivere si prostituisce. I gesti, la vita del Santo Padre mi stanno dando coraggio: andrò avanti finché ne avrò le forze. Perché io ho sempre pensato che la Buona Novella dovesse essere annunciata ai poveri e che sono i poveri i veri destinatari della Buona Novella del Vangelo. Ho visto che il nuovo Papa è un Papa concreto e che osa mettere la mano nelle periferie dell’umanità. Credo che stia chiedendo a tutti i cristiani del mondo un risveglio che si leva per denunciare il clima di sotto-umanità che si respira nelle periferie dove donne, bambini e uomini vivono senza le minime condizioni di umanità”. Padre Arthur non si attende che il Papa risponda alla sua lettera. “Per il momento – aggiunge ridendo – sono contento che la lettera con voi sia comunque arrivata a Roma”.

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