SAN BENEDETTO DEL TRONTO– Martedì 19 Febbraio presso il Palariviera alle ore 21.30 prosegue la serie di appuntamenti con il Cineforum Buster Keaton che trasmetterà nell’occasione il film: Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow.

Dal giorno dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, Osama bin Laden e il suo gruppo di talebani diventano il nemico numero uno del governo degli Stati Uniti. Per dieci lunghissimi anni, contraddistinti da avvistamenti, depistaggi e panico per l’eventualità di altri attentati, Maya (Jessica Chastain) e i colleghi agenti speciali della Cia, con l’aiuto delle forze dei Navy Seals, hanno il compito di rintracciarlo e consegnarlo al Paese, vivo o morto e a rischio delle loro stesse vite. 

I primi 30’ sono memorabili. Le autentiche, strazianti voci in fuori campo delle vittime del World Trade Center su sfondo nero sono il punto di partenza di questa nerissima e violenta parabola americana che subito ci immerge claustrofobicamente nelle torture della Cia perpetrate ai danni dei terroristi islamici. Porzione di cinema mozzafiato, che ci catapulta in medias res dentro una fauna umana che sembra aver già perduto i bagliori lucenti di un mondo libero. Kathryn Bigelow annulla partigianerie ideologiche per rappresentare un’ossessiva caccia all’uomo/Bin Laden che rifonda in un colpo solo parametri drammaturgici, stilistici ed etici dello sguardo e dell’autorialità hollywoodiana di oggi e di domani. Privo di ogni contrapposizione tra buoni e cattivi, Zero Dark Thirty riformula la convenzionale dicotomia nero/bianco, non tanto per affidarsi alle sfumature di grigio dell’ambiguità umana quanto per immergersi in una bipolarità nero/nero dove non sembra esserci via d’uscita se non quella del sangue versato. Dal post 11 settembre al fatidico 2 maggio 2011 (data in cui gli Stati Uniti d’America rendono pubblica la morte del terrorista islamico), il film di Kathryn Bigelow racconta un tour de force di 10 anni passando per Islamabad, Pakistan, Afghanistan, uffici della CIA. Lo fa affidandosi a un personaggio femminile inizialmente defilato, di cui assistiamo passo passo al totale coinvolgimento nelle indagini su Al Qaeda tra interrogatori asfissianti, false piste, attentati, diverbi burocratici. Dopo il trionfo di The Hurt Locker la regista americana torna a collaborare con lo sceneggiatore e giornalista Mark Boal, realizzando un’opera – se possibile – persino migliore della precedente. Boal recupera infatti l’impronta realistica e frammentaria di quella cronaca di guerra “serializzata” che era The Hurt Locker, affastellando indizi, informazioni, personaggi e punti di vista, sperimentando soluzioni narrative ancor più estreme nella contaminazione tra reportage e fiction e scomponendo il plot in tanti microepisodi in cui ogni personaggio sembra passare il testimone all’altro diventando protagonista della scena. Così facendo spiana la strada a una regia della Bigelow di stupefacente rigore documentaristico, antispettacolare, dettagliatissima per sfumature, dilatazione della suspense e movimenti interni. Ne viene fuori un’odissea umana e visiva più fisica che psicologica – memorabile l’interpretazione di Jessica Chastain/Maya proprio perché “senza passato”, totalmente devota a un tempo presente inchiodato nell’azione passiva e incessante di un’ossessione quasi allucinatoria – estremamente audace per come riflette sull’invisibilità (e conseguente sacralità) dell’immagine Bin Laden (….) Regia e montaggio sublimi per un film epocale.

 

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