SAN BENEDETTO DEL TRONTO -Il teologo Brunetto Salvarani, invitato dall’Azione Cattolica a San Benedetto del Tronto, ci ha aiutato a capire a che punto sia oggi il dialogo a 50 anni dal Concilio, attraverso la presentazione del suo libro “Il dialogo è finito? Ripensare la Chiesa nel tempo del pluralismo e del cristianesimo globale”. Il Concilio è stato l’avvenimento più significativo in chiave religiosa del 900, e questo viene ammesso non solo dai cattolici.  Occorre ripartire da lì, è importante non solo raccontare cosa è successo 50 anni fa, ma conoscere il Concilio, leggere i documenti. Il Concilio va colto nella sua dimensione di esempio, ancora da capire e in parte da realizzare. Il Concilio ci ha consegnato una parola nuova, che nel vocabolario della teologia non c’era, il dialogo, infatti nell’enciclica Ecclesiam Suam di Paolo VI, il termine dialogo traduce il latino colloquium.

Una competente e significativa presentazione e conversazione quella di Salvarani che di dialogo si occupa nei suoi studi ma anche come esperienza di vita. Vengono qui riportati ampi stralci dei temi che ha affrontato.

Il titolo del libro mette un punto interrogativo sulla fine, ma quando è iniziato il dialogo?
La Chiesa che si affaccia al Concilio ha anche una minoranza che aveva paura che i cambiamenti pur pastorali, che portava avanti Giovanni XXIII, e poi Paolo VI, andassero a scapito della Tradizione. La Tradizione è fatta di tante cose, è plurale, in essa c’è per esempio l’idea, durata diciannove secoli, che gli ebrei siano stati un popolo deicida. C’è stato molto antigiudaismo nella tradizione cristiana cattolica così come protestante, che ortodossa. Cercare un dialogo con gli ebrei significa allora rinunciare alla tradizione o rendersi conto che ci sono pezzi di tradizione che vanno abbandonati? C’era poi un assioma famoso, di riferimento: extra ecclesia nulla salus, una formula che viene da lontano. Per molti secoli la Chiesa ha pensato questo, che al di fuori di se stessa non ci può essere la salvezza, il che evidentemente tagliava alla radice la possibilità di qualsiasi forma di dialogo. Dialogo che quindi non c’era, poteva esserci nella concretezza della vita quotidiana, ma di fatto la chiusura è stata molto forte. La Nostra Aetate nel 1965, ammette che nelle altre religioni ci sia un qualche raggio di verità. È la prima volta in 1900 anni di storia che la Chiesa pronuncia in un testo ufficiale questa affermazione. Riesce a dire che nelle religioni c’è un misterioso, non chiaro, disegno di salvezza per chi vive con coscienza altre vie religiose. Ecco comincia la nuova stagione del dialogo interreligioso.

Concilio: libertà religiosa e dialogo.
La Chiesa aveva, con Pio IX, deprecato come perniciosa la libertà religiosa, vissuta come un disvalore, un problema. Era tutto collegato, quando non c’è un riconoscimento positivo dell’alterità religiosa anche la libertà è vissuta così. Il Concilio firmerà la dichiarazione Dignitatis Humanae che è un’esaltazione della libertà religiosa. Benedetto XVI nel messaggio della pace del 2011 allora può dire che “la Chiesa da tempo spinge a favore della libertà religiosa e grida dove questa è messa in discussione”. La nuova stagione del dialogo interreligioso non è facile anche perché quando i padri conciliari votarono i documenti hanno un modello di Europa e di mondo che è quello che risale al 500 per cui l’appartenenza religiosa è legata al territorio. Per cui si immagina che gli induisti siano in India, i musulmani nei paesi arabi e così via. Ma cosa è successo? C’è stata un’accelerazione nella pluralizzazione dei riferimenti religiosi, che allora era anche difficile pensare. Il pluralismo religioso è diventato un dato di fatto. La prospettiva di paesi e di città che vivono il pluralismo religioso è la realtà attuale.

Il mondo è cambiato C’è un’accelerazione profonda de processi sociali, culturali, la globalizzazione è un fenomeno che investe tutti i campi e anche le religioni. Idea del mondo in fuga, che cambia rapidissimamente che per questo spiazza, facciamo fatica a capire che cosa stia succedendo. Alcuni elementi emrgono: un primo elemento è l’emersione della terza Chiesa (la prima dei paesi occidentali, la seconda dei paesi dell’est) è la Chiesa del sud del mondo: la Chiesa africana, sudamericana, asiatica. Una Chiesa che in termini numerici supera i numeri della Chiesa occidentale. Occorre imparare a ragionare con un’ottica diversa, noi abbiamo l’idea per cui il cristianesimo è un fatto occidentale, una sovrapposizione tra occidente e cristianesimo. La situazione è molto diversa, in qualche decennio la trasformazione è stata radicale. I paesi in cui numericamente il cattolicesimo è più presente sono Brasile al primo posto, poi Messico e Filippine, l’Italia al quinto. E la situazione è in evoluzione, il continente del futuro per il cattolicesimo e cristianesimo è l’Africa. È importante tenere le orecchie e gli occhi aperti su ciò che succede in Africa al di là delle scarsissime informazioni che ci arrivano dai mass media tradizionali. L’africa ha avuto il più clamoroso sviluppo cristiano all’interno di un secolo, nel 900, non solo perché vi è stata una grande storia missionaria, ma è un luogo in cui moltissimi si sono inventati forme di cristianesimo, cristiane ma autonome.

 

Il panorama religioso Noi siamo abituati a immaginare la vita di Chiesa come una vita di parrocchia, la figura tipo che appartiene al modo cattolico è il praticante: il parrocchiano. Ci sono stati studi che hanno raccontato come in questi decenni siamo transitati da questa figura del praticante a quella del pellegrino e del nomade. Certamente quel modello di vita cristiano-cattolico che prevedeva che si vivessero i suoi momenti significativi della vita, i riti di passaggio in quella parrocchia, lì a fianco di dove si era nati, e una vita scandita dal rintocco delle campane. Ecco quel tipo di modello di praticante è un modello non si è esaurito ma fatica moltissimo a trovarsi. Capire questo cambiamento, perché oggi il pellegrino è quello che va alla ricerca di: di Dio, di se stessi… E si parla di supermarket delle religioni. L’idea di tanta gente che va alla ricerca di una parola autentica è una chance un’opportunità per le chiese storiche non da demonizzare. Si tratta di capire come intercettare queste richieste e questi bisogni. Opportunità importante perché se c’è qualcosa che oggi le chiese storiche avrebbero possibilità di fornire a un mondo che ne ha estremamente bisogno è il loro messaggio: il vangelo di Gesù. L’umanizzazione della vita che Gesù ha proposto rovesciando sistemi di valori, stili di vita, diventando un personaggio sui generis, curioso, quella umanizzazione che lui ci ha insegnato è ciò di cui ha bisogno il mondo oggi. Noi vediamo falsi problemi quando in fondo il messaggio che le chiese storiche potrebbero fornire al mondo è un messaggio più semplice di quello che oggi ci immaginano perché è il messaggio del Vangelo: di riconoscere l’altro come un potenziale fratello una potenziale sorella.

I passi del dialogo La Chiesa sarà una Chiesa che deve esercitarsi a fare i conti con le diversità culturali e religiose. allenata a trovarsi fianco a fianco con persone, gruppi, messaggi religiosi diversi dai propri, Il problema attuale è che le chiese storiche non sono allenate a questo. il dialogo è quello che si fa nella quotidianità dei vissuti, delle relazioni umane prima ancora di quello che si fa tra teologi, specialisti, mistici, monaci. Il dialogo si fa incontrando tutti i giorni donne e uomini che vivono esperienze religiose diverse ma non necessariamente antitetiche alle proprie. Il dialogo si fa tra le persone e non tra le religioni, le filosofie, le culture, le ideologie. Quando riconosciamo guardando il volto dell’altro un potenziale fratello o sorella e quindi figlio/a della stessa famiglia umana, è li che può cominciare il dialogo. I sistemi religiosi non sono fatti per dialogare, e poi con quale cristianesimo, con quale ebraismo, islam si dialoga? Questa è una materia per una retorica positiva o negativa per il dialogo che non ha bisogno di retorica. Il dialogo ha bisogno di prassi, di esperienze concrete, vissute. Io mi sento testimone di esperienze concrete fatte in questi anni tanto che posso dire che aver incontrato tanti musulmani/e, ebrei/e, protestanti/e mi ha reso un cristiano diverso da come sarei se non li avessi incontrati, mi sento forse anche “migliore”, certamente sarei peggio, perché quest’incontri mi han davvero cambiato la vita, mi han aperto delle strade, delle porte, il pensiero, la testa, e quindi li ringrazio.

 Come costruire qualcosa… Il dialogo si fa a partire dalle cose che si possono condividere. Ad esempio le ricette di cucina: il cibo parla! La musica per i giovani sopratutto, le passioni comuni, lo sport che comunque è un’occasione di incontro di dialogo, il rispetto dell’ambiente: l’ecologia. Tutta una serie di ambiti nei quali operare assieme per la giustizia per la pace. Anche l’esperienza del terremoto in Emilia è stata occasione di condividere la comune paura, di ritrovarsi insieme, fianco a fianco, e essere segno tangibile di un dialogo concreto. Ciò ha cambiato la percezione della presenza dell’altro. O nell’esperienza del Comune di Novellara, dove c’è un tempio sikh frequentato da 4000 persone. Quella presenza percepita come presenza disturbante oppure come una presenza che è un’occasione di conoscenza, di maturazione: di conoscenza reciproca, di maturazione reciproca. Il comune ha deciso di investire in questa direzione con progetti con i sikh. Queste storie sono le storie di tantissimi italiani che si sono accorti che c’era un pluralismo religioso non perché lo ha raccontato la tv, che non l’ha fatto. Gli italiani l’hanno scoperto nella concretezza dei rapporti quotidiani in fabbrica, a scuola nelle classi. Le difficoltà sono naturalmente ovvie, che se non le affrontiamo diventano un problema se le affrontiamo possono diventare un’occasione.

Pensa positivo Negli anni del Concilio c’era un clima positivo, una spinta in avanti. Ma bisogna riconoscere il valore profetico della figura di Giovanni XXIII che ha aperto in Concilio. Anche oggi, in cui il clima appare meno positivo, il paese è vecchio perché non vive lo stupore, non è curioso, ci sono segni di cambiamento, di una nuova fase. E il dialogo è qualcosa che ci arricchisce, ci rende migliori.

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