La battaglia di Ponte Milvio è da sempre motivo di riflessione perché ci porta inevitabilmente a parlare del rapporto religione-politica. In sede storica si parla di “svolta costantiniana” cioè di un grande cambiamento di atteggiamento da parte dell’impero nei confronti del cristianesimo: se prima di questa battaglia i cristiani erano perseguitati, dopo di essa i seguaci di Gesù saranno cittadini a pieno titolo dell’impero romano. Addirittura, prima della fine del IV secolo, il cristianesimo diverrà con Teodosio l’unica religione dell’impero.

Sull’appoggio dato da Costantino gli studiosi si dividono grossomodo in due “partiti”. Da una parte c’è chi ritiene questa svolta grandemente nociva per il cristianesimo, dall’altra c’è chi vede nell’alleanza trono-altare l’elemento principale per la nascita di quella che sarà la civiltà medievale.

Fra questi ultimi si colloca, in maniera radicale, anche lo storico Roberto de Mattei che addirittura in un recente articolo apparso sulla rivista “Radici Cristiane” ha parlato della battagli di Ponte Milvio come di una guerra archetipa. Su questo concetto e sulle parole dello storico romano vorremmo fermare la nostra attenzione.

Scrive de Mattei: “I cristiani erano stati buoni soldati, ma nessuna guerra religiosa era mai stata condotta sotto il segno della croce. Ora Cristo stesso chiedeva a Costantino e alle sue legioni di combattere in nome di Dio, quando la causa è giusta e la guerra è dichiarata santa. La battaglia del 28 ottobre non dimostrava solo liceità per i cristiani di militare nell’esercito, ma proclamava la prima guerra santa dell’era cristiana”

Giustamente de Mattei ricorda come nei primi secoli il cristianesimo si diffuse moltissimo fra i soldati romani. Anche nel Vangelo Gesù incontra dei personaggi legati alla vita militare e questa di per sé non è incompatibile con una vita di fede. I soldati romani che avevano abbracciato la nuova fede non avevano abbandonato il loro lavoro, anzi avevano continuato a servire fedelmente l’imperatore, anche se si erano rifiutati di adorarlo come un Dio e per tale motivo vennero uccisi. Esemplare è il caso del nostro santo patrono Benedetto. È tuttavia improprio attribuire a Cristo la chiamata alle armi della quale parla de Mattei al fine di difendere la fede.

Lo storico parla poi di “guerra santa”. Questo concetto non è mai entrato nel patrimonio teologico cattolico. Neppure le crociate condotte nei secoli successivi furono in senso stretto delle “guerre sante”: esse non avevano lo scopo di convertire i musulmani alla fede in Cristo ma erano piuttosto state concepite come delle “guerre giuste”, cioè volte a riconquistare i territori occupati dai musulmani e dove una volta sorgevano fiorenti comunità cristiane.

Continua de Mattei: “Ciò che vale è che la croce di Cristo non fu posta in contrasto con i vessilli militari, ma divenne essa stessa un simbolo di lotta. Il motto ‘In hoc signo vinces’ lega il simbolo della croce alla vittoria che non è solo quella interiore sulle passioni disordinate e sul peccato, ma una vittoria pubblica, armata, militare.”

Ripugna alla coscienza cristiana che la croce possa diventare un simbolo di lotta! Dai vangeli sappiamo benissimo che Gesù non ha mai inteso la sua figura come quella di un rivoluzionario, o di un uomo di potere secondo gli schemi mondani. La sua regalità si esercita sui cuori e sulle menti attraverso l’umiltà e la mitezza e non certo attraverso le armi, la forza o la coercizione. Anzi egli stesso invitò il principe degli apostoli a riporre la spada nel fodero ammonendo che “chi di spada ferisce di spada perisce”.

Roberto de Mattei afferma ancora: “Offrire la propria vita è la più grande forma di amore e il più perfetto atto di carità, poiché ci fa perfetti imitatori di Gesù secondo cui nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita per Lui e per i suoi fratelli. Questa testimonianza è comune ai martiri e ai crociati”.

Sicuramente offrire la propria vita è la forma più grande di carità, tuttavia il martirio cristiano è subito, non cercato. Il martire cristiano muore vittima innocente dell’odio cieco dei suoi persecutori, egli ama talmente il prossimo come se stesso che è disposto a perdonare i suoi nemici sull’esempio del Signore Crocifisso. Il martire descritto da de Mattei non sembra avere i contorni appena descritti del martire cristiano.

Le riflessioni di de Mattei ci hanno preoccupato, perché ci presentano una fetta di cristianesimo, per fortuna assolutamente minoritario, legato a un modello aggressivo e autoritario.

Abbiamo dato molto spazio al XVII centenario della battaglia di Ponte Milvio ritenendo che essa fu un momento cruciale per la nostra civiltà europea, vorremmo tuttavia guardare a questo evento con occhio critico commemorandolo senza volerne riesumare l’aspetto violento.

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