Bruno Desidera

Sarà un ballottaggio il prossimo 28 ottobre a decretare chi sarà il nuovo presidente del Brasile. Ma dopo il primo turno di ieri Jair Bolsonaro, l’uomo dell’ultradestra, apertamente nostalgico del regime militare, è vicinissimo alla clamorosa vittoria. Come accadde due anni fa per Trump, la sua è stata una cavalcata controversa ma quasi trionfale già al primo turno, essendo arrivato al 46% dei voti, spinto dall’alta affluenza e dal consenso nelle aree metropolitane del centrosud. Solo dieci giorni fa i sondaggi lo davano al 30%. Il 28 ottobre Bolsonaro se la vedrà con il delfino dell’ex presidente Lula, il docente universitario ed ex sindaco di San Paolo Fernando Haddad, fermo al 29,3%. La sinistra ha tenuto solo negli Stati del Nordest.
Anche in Brasile, dunque, ci sarà un duello tra le ali più radicali dello schieramento politico, in un clima di sfiducia e frammentazione, testimoniata dalla composizione a dir poco sfilacciata del prossimo Parlamento. Bolsonaro è sostenitore dell’uso delle armi per combattere la criminalità e della tortura, durante la campagna elettorale ha più volte insultato le donne, le minoranze etniche e gli indigeni. Le accuse generalizzate di razzismo, misoginia e omofobia e un’oceanica manifestazione proclamata dalle donne in tutto il Paese non hanno frenato la sua corsa, in parte favorita anche dall’accoltellamento subito all’inizio della campagna elettorale.

Il successo di Bolsonaro e i paradossi della sinistra. “Al di là degli slogan, non si sa cosa farà Bolsonaro se eletto presidente – commenta da Buenos Aires per il Sir il sociologo e politologo Gabriel Puricelli, coordinatore del Laboratorio di politiche pubbliche -. La sua campagna elettorale è stata all’insegna dell’ammirazione per Trump, delle frasi propagandistiche, non dei programmi concreti”. Resta, sull’ sfondo, l’avanzata di una sorta di “internazionale nazionalista e sovranista”: “Certo – spiega il politologo – bisogna fare delle distinzioni -. Duterte nelle Filippine massacra la gente, non mi pare si possa dire che Trump, oppure il vostro Salvini, facciano altrettanto. Ecco, Bolsonaro è un tipo le cui potenzialità si avvicinano a quelle di Duterte. Anche in Brasile, comunque, assistiamo a una ribellione contro tutte le élite: politiche, economiche, mediatiche. L’irrilevanza dei tradizionali mass media, in questa campagna elettorale brasiliana, è stata impressionante. Inoltre, va detto che in Brasile c’è sempre stata una parte cospicua di elettorato, almeno un quarto, nostalgica della dittatura di destra”.
E le possibilità della sinistra? C’è un candidato che avrebbe quasi sicuramente vinto contro Bolsonaro. Il suo nome è Luiz Inácio Lula da Silva. Ma all’ex presidente, condannato a 12 anni di reclusione, è stato impedito di candidarsi. Ed è tutto da vedre che le sue scelte successive siano state azzeccate.

“E’ una situazione paradossale – commenta ancora Puricelli -. Il candidato del Partito dei lavoratori (Pt), Fernando Haddad, è certamente la scelta migliore, se restiamo nel perimetro del Pt, se non altro per la sua totale estraneità a fatti di corruzione. Però, all’interno del Pt si erano interrogati anche sull’eventualità di appoggiare Ciro Gomes del Partito democratico laburista, altro uomo di sinistra, che avrebbe avuto più possibilità di Haddad al ballottaggio”.

Per la cronaca, ieri Gomes si è fermato al 12,5%.

La Chiesa invita al “dialogo” con tutta la società. La Chiesa brasiliana guardacon preoccupazione a questo voto cruciale. “Come vescovi – spiega l’arcivescovo di Diamantina, dom Darci José Nicioli, presidente della Commissione per le comunicazioni della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile – non abbiamo preso posizione per i singoli candidati”. Probabilmente, tale opzione verrà confermata anche in vista del ballottaggio. “A noi interessa il dialogo con l’intera società e speriamo che, chiunque sia l’eletto, si faccia carico di questo dialogo. Certo, ci preoccupa questa polarizzazione dell’elettorato tra chi è addirittura nostalgico del regime militare e il radicalismo di sinistra, statalista in economia, ma è prioritario animare la speranza e continuare ad auspicare che la politica sia fondata sui valori e includa i più poveri ed emarginati, cresciuti tantissimo negli ultimi anni. Una politica più giusta e fraterna, che prenda sul serio la lotta alla corruzione”.

Il “fattore religioso” tra il vuoto di laici cattolici e il protagonismo dei pentecostali. L’arcivescovo consegna però una riflessione che non potrà non interrogare i cattolici brasiliani, a partire dalle prossime settimane: “C’è un vuoto di laici cristiani, che corrisponde a un vuoto nella nostra catechesi. Un lavoro urgente, non solo in Brasile, ma in tutta l’America Latina”. Un vuoto che si incrocia, paradossalmente, con l’importanza del fattore religioso nel voto, dovuta soprattutto al ruolo delle comunità evangeliche pentecostali, in grande ascesa in Brasile e compatte nel consenso a Bolsonaro. Quello religioso si sta rivelando nella politica brasiliana un fattore di grande importanza, “la grande novità degli ultimi decenni assieme alla mobilitazione, dall’altro lato, dei movimenti femministi”, spiega la professoressa Maria das Dores Campos Machado, studiosa del Nucleo Religione, genere, azione sociale e politica della Scuola di servizio sociale dell’Università Federale di Rio de Janeiro.

Da una parte, “la Chiesa cattolica ha sempre avuto un ruolo importante nello stimolare l’implementazione di politiche pubbliche, dall’altro la sua azione appare oggi più frammentata “rispetto all’irrompere degli evangelici pentecostali, in gran parte conservatori e legati a forti gruppi imprenditoriali”.

Una tendenza rafforzata in seguito al calo di popolarità dell’evangelica Marina Silva, che viene dalle comunità di base e che quattro anni fa aveva avuto molto successo per il suo programma ambientalista (ieri invece si è fermata all’1%). Così gli evangelici “si sono saldati con Bolsonaro nel portare avanti una piattaforma programmatica sensibili ai temi di una società ‘neopatriarcale’, che si oppone alle politiche di genere e ai movimenti femministi. Va anche detto che a tale evoluzione non sono stati immuni settori carismatici della Chiesa cattolica”. In ogni caso, conclude dom Nicioli, “la strada per la Chiesa cattolica non può certo essere quella di questi settori evangelici, non è la via giusta. Il popolo non è formato da persone da guidare con falsi leader. La riflessione deve individuare un cammino per allargare gli spazi di dialogo e democrazia e per garantire maggiori diritti sociali”.

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