“Compassione”, “avvicinarsi”, “restituire”. Sono i tre imperativi usati dal Papa nell’omelia della Messa celebrata ieri a Santa Marta, in cui Francesco, come riporta Radio Vaticana, ha auspicato che il Signore ci dia “la grazia” di avere compassione “davanti a tanta gente che soffre”, di avvicinarci e di portare queste persone “per mano” al posto di “dignità che Dio vuole per loro”. “La compassione – ha spiegato Francesco – è un sentimento che coinvolge, è un sentimento del cuore, delle viscere, coinvolge tutto”. La compassione spinge “ad avvicinarsi”,  ha spiegato il Papa: “Avvicinarsi e toccare la realtà. Toccare. Non guardarla da lontano”. “Restituire”, la terza parola: “Gesù fa dei miracoli per restituire, per mettere al proprio posto le persone. Ed è quello che ha fatto con la redenzione. Ebbe compassione – Dio ebbe compassione – si avvicinò a noi in suo Figlio, e restituì tutti noi alla dignità di figli di Dio. Ci ha ricreati tutti”. L’esortazione è a “fare lo stesso”, prendere esempio da Cristo, avvicinarsi ai bisognosi, non aiutarli “da lontano”, perché c’è chi è sporco, “non fa la doccia”, “puzza”: “Tante volte guardiamo i telegiornali o la copertina dei giornali, le tragedie … ma guarda, in quel Paese i bambini non hanno da mangiare; in quel Paese i bambini fanno da soldati; in quel Paese le donne sono schiavizzate; in quel Paese … oh, quale calamità! Povera gente … Volto pagina e passo al romanzo, alla telenovela che viene dopo. E questo non è cristiano. E la domanda che io farei adesso, guardando tutti, anche a me: io sono capace di avere compassione? Di pregare? Quando vedo queste cose, che me le portano a casa, attraverso i media… le viscere si muovono? Il cuore patisce con quella gente, o sento pena, dico ‘povera gente’, e così … ‘. E se non puoi avere compassione, chiedere la grazia: ‘Signore, dammi la grazia della compassione’”. Con la “preghiera di intercessione”, con il nostro “lavoro” di cristiani, dobbiamo essere capaci di aiutare la gente che soffre, affinché “venga restituita alla società”, alla “vita di famiglia”, di lavoro; insomma: alla “vita quotidiana”, l’esortazione finale.

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