Papa Francesco scrive nell’Evangelii gaudium che “la Chiesa è missione. Di fatto non può fare altro se non annunciare la Buona Novella. Questa realtà missionaria della Chiesa è continuamente in cammino e presente nella consapevolezza del popolo di Dio. Ciò induce a pensare che questa definizione della missionarietà della Chiesa dovrebbe condurre anche a una ecclesiologia nuova nel modo di comprendere, vivere ed essere la comunità di Gesù”. Ne è convinto il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, invitato, oggi pomeriggio, dal vescovo di Belley-Ars, mons. Pascal Roland, e dal rettore del santuario francese di Ars, padre Patrice Chocholski, a presiedere le celebrazioni per la festa liturgica di San Giovanni Maria Vianney, che coincide per la diocesi francese con la conclusione dell’anno dedicato alla missione. Nella conferenza intitolata “Il curato d’Ars e Paolina-Maria Jaricot: due vite per la Chiesa in missione”, il card. Filoni ha sottolineato alcune caratteristiche di queste due figure: “Ambedue profondamente legati dall’amore di Dio, ambedue presi dalla passione per il Vangelo di Cristo e per la salvezza delle anime, fiduciosi nella forza della preghiera, simbolicamente appartenenti a due famiglie diverse, piccole piante radicate nel cuore storico e tradizionale della Francia”.
“Di Vianney – ha aggiunto – vorrei cogliere il senso della sua missionarietà nella vita parrocchiale; si direbbe oggi, in termini cari a Papa Francesco, di parroco ‘in uscita’, non chiuso tra le mura della propria chiesetta, né soddisfatto di qualche successo”. “Di Jaricot – prosegue – mi piace ricordare l’entusiasmo apostolico innovativo e creativo, in quanto laica e pertanto antesignana sui tempi e in particolare nella Chiesa, per l’opera di evangelizzazione che partiva dal nuovo contesto operaio e si proiettava nel mondo”. “Ambedue – riconosce Filoni – furono una benedizione per la Chiesa”. Secondo il prefetto, “riguardo al concetto di missionarietà odierno, bisognerebbe ritenere alquanto superato il concetto di missionarietà legato alla territorialità. Questo fu un approccio tipico fino al concilio Vaticano II”. Si affermò “una missionarietà multidirezionale”, “comprensiva e inclusiva, che è legata al battesimo e quindi è parte della sacramentalità della vita cristiana e si attua dove il cristiano agisce”. “Cinquant’anni dopo – ha concluso -, Papa Francesco non vi si è fermato lì, rilevando che i segni dei tempi ci portano ad aggiornare la nostra conoscenza e l’azione pastorale e missionaria”.

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