intifada“Un atto insensato e di estrema gravità, una profanazione intollerabile”. Sono parole dure e ferme quelle che il Patriarcato latino di Gerusalemme usa per condannare l’incendio, ad opera di giovani palestinesi, della tomba di Giuseppe, figlio prediletto di Giacobbe, luogo sacro per ebrei, cristiani e musulmani, situato a Nablus, in Cisgiordania. “I luoghi santi, che siano cristiani, ebraici o musulmani” per il Patriarcato latino “devono essere rispettati, senza condizioni”. La cosiddetta Intifada dei coltelli non si ferma, anzi alza il tiro. Non basta colpire i passanti, ora ad essere attaccati sono anche luoghi santi come la Tomba di Giuseppe. Facile vedere una rappresaglia, una vendetta per la profanazione della moschea di Al Aqsa nella Spianata delle Moschee che, secondo i palestinesi, vedrebbe sempre più presenze ebraiche. In questo luogo, chiamato dagli Ebrei il Monte del Tempio, la tradizione biblica vuole che si svolse il sacrificio di Isacco. Qui il re Salomone vi eresse un tempio per ospitare l’arca dell’alleanza. Per i musulmani, invece, questo è il punto dell’ascesa del profeta Maometto al cielo. Un luogo conteso e punto di rivalsa non solo religiosa. Il ciclo di violenza e di rappresaglie è diventato la norma. La politica sembra incapace di prendere le giuste misure per evitare conseguenze che potrebbero diventare terribili. L’uso dei simboli religiosi come detonatori di ulteriori violenze va scongiurato. Invitare alla calma, sigillare i quartieri arabi di Gerusalemme, reprimere con la violenza non rappresentano soluzioni praticabili e definitive. Lo è molto di più riprendere un dialogo ragionevole, senza precondizioni, per trovare soluzioni giuste ed eque, basate sul principio dei due Stati. Un appello significativo viene dall’ex-presidente israeliano, Shimon Peres che solo pochi giorni fa, a Tel Aviv, presso il centro per la pace che porta il suo nome, ha incontrato i capi religiosi di diverse confessioni. “Insieme contro il terrorismo e le violenze in nome di Dio” è stato il tema dell’incontro. “Dobbiamo pregare insieme e gridare a una sola voce che non c’è alcun Dio che approvi la morte – ha detto Peres – dobbiamo sederci e parlare. La violenza non è il modo”. In attesa che John Kerry, segretario di Stato americano, prepari il suo ennesimo viaggio nella regione, speriamo che qualcuno tra gli israeliani e i palestinesi ascolti l’appello dell’ex presidente.

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