expdi Gianni Borsa

La maestra sale per prima: sono passate le 8 da pochi minuti ed è già senza voce. Dietro di lei una schiera di piccoletti, tutti in maglietta rossa, cappellino blu e zaino in spalla, eccitatissimi. Si va all’Expo: niente lezioni in classe, oggi si studia il cibo e “come mangiano in Africa e in Cipro” – osserva a suo modo Enrico, il più agitato della compagnia. Trovar posto sul treno è impossibile: ogni sedile è occupato e il resto della carrozza è stipata all’inverosimile. Ai pendolari giornalieri che si recano a Milano per studio o per lavoro si aggiungono, da mesi e con frequenza crescente, i “turisti” dell’esposizione universale. A un mese dalla chiusura (31 ottobre) i numeri lievitano, davanti ai padiglioni le code si infittiscono. Buon segno per gli organizzatori e per l’Italia intera, che con Expo “ci mette la faccia” davanti alle 140 nazioni partecipanti.

“Tutti in carrozza!”. Per vivere una giornata da visitatore occorre però immedesimarsi: così si parte da Varese col regionale delle 7.43, si prosegue per 12 fermate, fra cui Albizzate, Busto Arsizio, Canegrate, Vanzago, e si arriva alla nuova – e forse sovradimensionata – stazione di Rho Fiera. I primi a scendere dalla carrozza sono proprio i ragazzini della seconda elementare, festanti, in fila per due, sorvegliati a vista da tre maestre e da una mamma; ordini precisi, stile caserma: “fermi”, “contiamoci”, “avanti”, “Gigi non è il momento di mangiare il panino!”. Subito dietro un folto gruppo di anziani del circolo Acli, con tanto di bandiera per non disperdersi. Poi due volontari di Expo in maglietta bianca e azzurra, tre ragazze coi tacchi alti (non sanno che dovranno camminare per ore fra gli stand?), un’altra scolaresca, due distinti signori in giacca e cravatta, tante tante famiglie. Non manca il gruppo Avis e persino una delegazione del Ghana.

Numeri in ascesa. Il giorno feriale non ferma il flusso e basta scorrere i dati ufficiali del ticketing di una qualunque settimana di settembre: lunedì 21, presenze 140.445; martedì 22, 124.168; e avanti fino a sabato 26 (un pienone biblico), 259.093; domenica 27 settembre, 194.649. Un passaggio all’ufficio stampa lo conferma: al 31 agosto le presenze totali sfioravano i 14 milioni, con ingressi in forte aumento rispetto a giugno e luglio. Ora si attendono i dati definitivi di settembre, anche se ogni standista o volontario interpellato conferma: “C’è sempre più gente”. “Si ritiene di arrivare – ci spiegano all’ufficio stampa – alla chiusura di Expo Milano 2015 con 20 milioni di biglietti emessi”. I giornalisti transitati nei primi 5 mesi di esposizione sfiorano le 20mila unità.

Paesi-calamita. A questo punto non resta che seguire il flusso di gente. Superata la lunga coda e i controlli di sicurezza ai tornelli d’entrata, parte la corsa feroce alle porte dei padiglioni, per saltare qualche ora di coda. Per visitare i padiglioni più ambiti bisogna infatti mettersi l’anima in pace e stare in piedi, quando va bene, 40 o 50 minuti; nei casi peggiori 3, 4 o 5 ore. Le file si snodano ordinate, con precisione svizzera. Alcuni Stati espositori forniscono i dati delle persone accolte: 2 milioni per Oman, Qatar, Spagna, Malesia e Cina; 3 milioni la Russia; 4 milioni gli Stati Uniti. Al 30 settembre il padiglione Santa Sede-Cei arriva a un milione e 210mila. L’edicola della Caritas viaggia attorno ai 150mila. Alcuni Paesi sono delle vere e proprie calamite: lo splendido padiglione del Kazakhstan, quelli di Giappone, Bielorussia, Francia. L’originale struttura del Brasile e quella del Nepal e, naturalmente, Palazzo Italia, per accedere al quale occorre armarsi di santa pazienza, ma ne vale la pena.

Proposte per tutti.
Il cuore dell’esposizione è il Decumano, l’ampia via centrale che attraversa longitudinalmente Expo 2015. L’altra grande meta è l’Albero della vita, con spettacolo serale. Ma è proprio sul Decumano che si incontra la più varia umanità: turisti filippini e inglesi, egiziani e argentini. Famigliole pranzo-al-sacco (perché i prezzi agli stand gastronomici e ai ristoranti non sono proprio a buon mercato), fidanzatini per mano, gite associative, “pellegrinaggi” parrocchiali con il don in testa e la suora che chiude la fila. C’è il Padiglione Zero, con lo “straordinario viaggio nel mondo del cibo”, il villaggio “Save the Children”, le aree dedicate ai grandi prodotti agricoli, dal caffè alle spezie, e poi frutta e legumi, cacao e cioccolato. La Cascina Triulza con associazioni, volontariato, cooperative e proposte culturali di rilievo. Le patatine fritte del Belgio, il gioco creativo del Qatar, l’agricoltura olandese, lo slow food, il Future Food District che mostra come si farà la spesa nel futuro (forse a New York, non certo in Madagascar…). Attrazioni e contraddizioni si alternano, ma non viene meno la curiosità della gente che si accalca ovunque: per conoscere la dieta mediterranea, per la “settimana del caffè indonesiano”, per scorgere tra i padiglioni il Capo di Stato o la celebrità di turno, per scoprire le bellezze della Turingia, assaggiare il prosciutto di Parma o i prodotti della Lomellina. Verso sera riecco la maestra Gloria, con la sua seconda C: i bambini saltellano ancora mentre lei, appoggiata a una panchina, riprende il fiato dopo aver sfilato le scarpe. “Tra poco abbiamo il treno”, confida. “Non vedo l’ora”.

 

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