PakistanDi Alberto Camapleone

La pausa natalizia è, per le scuole, una boccata d’ossigeno. Permette di “tirare il fiato” dopo i primi mesi, intensi, di lezioni – con le diverse gradualità: immaginate, ad esempio, i più piccoli, che per il primo anno affrontano la vita scolastica – e insieme di rinnovare risorse che serviranno abbondantemente già a gennaio, quando ad esempio i più grandi, gli studenti delle superiori, saranno impegnati nel rush finale del primo quadrimestre.
Una pausa ci sta bene. Anche per i docenti, naturalmente. Da gennaio si riparte e l’esperienza scolastica guadagna di intensità.
È un’occasione, la pausa natalizia, anche per riflettere sul “perché” della scuola, su un’esperienza che nella sua ordinarietà finisce non di rado tra le cose scontate, col risultato che si perde la percezione della sua importanza. Proprio su questo tema aiuta a riflettere il fatto gravissimo avvenuto in Pakistan, dove terroristi talebani hanno compiuto un massacro nella scuola pubblica dell’esercito a Peshawar. Un’azione sconvolgente nella sua crudeltà e nella lucida pianificazione, costata la vita ad almeno 148 persone, tra cui 132 bambini. E proprio i bambini erano nel mirino delirante degli assassini. “Abbiamo scelto con attenzione l’obiettivo da colpire con il nostro attentato. Il governo sta prendendo di mira le nostre famiglie e le nostre donne. Vogliamo che provino lo stesso dolore”. Così il portavoce dei talebani pakistani, Mohammed Umar Khorasani, ha rivendicato l’attentato.
I bambini e la scuola, che se da noi, si diceva, appartiene alla normalità, in altri Paesi del mondo è una conquista faticosa. La scuola dove si comincia a costruire la società del futuro, dove passano le occasioni per superare le contraddizioni di società nelle quali povertà e guerra la fanno da padrone. Il Pakistan fa subito venire alla mente la vicenda di Malala Yousafzai, una ragazzina, premio Nobel per la pace 2014, ferita gravemente mentre tornava da scuola, simbolo della lotta per il diritto di tutti i bambini all’istruzione. In un celebre discorso all’Onu spiegava che “nel Pakistan abbiamo capito l’importanza di penne e libri quando abbiamo visto le pistole. La penna è più forte della spada. È vero che gli estremisti hanno e avevano paura di libri e penne. Il potere dell’istruzione fa loro paura”. Per questo uccidono gli studenti innocenti, gli insegnanti, per questo attaccano le scuole tutti i giorni. “Gli estremisti hanno paura del cambiamento, dell’uguaglianza all’interno della nostra società”. Il recente massacro di Peshawar richiama l’attualità delle parole di Malala. Sconvolge e provoca. Insieme spinge all’impegno perché la scuola, ovunque, possa essere una volta di più strumento e occasione di integrazione, sviluppo, pace. Anche dove non si corrono rischi, dove l’istruzione è garantita, dove non si devono fare particolari sacrifici per arrivare alla mattina sui banchi. Eppure è da qui, da questa quotidianità ordinaria, che passa una tra le più forti correnti di cambiamento del mondo. Dall’istruzione che tutti i giorni combatte l’ignoranza, dalla pratica delle relazioni e delle diversità che promuove cooperazione e fratellanza, dall’addestramento alla condivisione e al bene comune che si può sperimentare nel percorso scolastico. Compiti e responsabilità davvero grandi, per tutti quanti – dalle famiglie ai ragazzi, ai docenti – nella scuole sono protagonisti.

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