televisioneDi Rino Farda

Auditel deve cambiare. Il sistema di rilevamento del consumo di televisione in Italia condiziona non solo la spartizione della raccolta pubblicitaria (una torta di circa 9 miliardi di euro) ma anche una parte non piccola del dibattito politico nazionale (la legge sul conflitto di interesse non è mai stata approvata). Auditel però ormai è decotto, quasi morto. Per la prima volta ne parla esplicitamente anche il socio più importante di Auditel, la Rai. In un’intervista rilasciata ad un noto quotidiano, Andrea Fabiano, direttore marketing della Rai, ha detto che “Auditel dovrà trovare un modo per misurare anche gli altri schermi”. Si tratta del primo dei tre problemi che stanno segnando il declino della centralità di Auditel.
Calo di vendite delle televisioni. Proprio nel periodo prenatalizio, infatti, è stato registrato un vistoso calo delle vendite dei televisori in Italia (secondo un aggiornamento di Anitec, la sezione di Confindustria che opera nell’ambito degli elettrodomestici). Dai 7,2 milioni di televisori venduti nel 2010 si è passati ai 4,6 milioni del 2014. La perdita di appeal dei televisori è compensata però dalla crescita della vendita dei device mobili come tablet e smartphone, gli strumenti che sempre più gli italiani utilizzano per guardare i programmi o le serie preferite. Sono gli “altri schermi” di cui parla Fabiano e che non sono neanche lontanamente censiti da Auditel.

Dal “prime time” al “my time” Il secondo problema nasce dall’esplosione di una forte offerta concorrenziale da parte della paytv. Alcuni dati di consumo infatti fanno riflettere. Le serie tv americane di cui tutti parlano, da “House of cards” a “True Detective”, da “Homeland” a “The Walking Dead”, secondo Auditel farebbero registrare indici di share (la percentuale di telespettatori che guarda un programma rispetto alla totalità dei televisori accessi in quel momento) inferiori all’1%. I vertici di Sky, più volte, si sono lamentati della disparità di trattamento. Auditel ha un panel di 5.200 famiglie ed è accusata anche dalle Autorità garanti di lentezza nel recepire i fenomeni che avvengono nei mercati televisivi. Un italiano su tre ormai ha già compiuto il passaggio da un palinsesto pensato dagli editori alla costruzione di una propria agenda personalizzata in cui, oltre a scegliere i contenuti, decide tempi e dispositivi su cui vederli: il “prime time”, insomma, è stato sostituito dal “my time”. Un’evoluzione che è stata tratteggiata nell’indagine “I dieci anni che hanno rivoluzionato la televisione”, presentata da Politecnico di Milano e Studio Frasi. Secondo Paolo Agostinelli di Sky, è necessario quindi costruire “un Auditel 2.0”, per superare l’inadeguatezza dell’attuale sistema di rilevazione degli ascolti. Agostinelli ha paragonato Auditel a “una vecchia macchina alla quale si ritocca la carrozzeria ed è guidata nel modo sbagliato”. Nel mutato scenario, Sky chiede al servizio di monitoraggio una governance non più gestita dalle generaliste e una migliore percezione dell’off-screen, che consideri numeri importanti come, per esempio, “i 25 milioni di download da Sky On Demand in soli 10 mesi”.

Emittenza locale in sofferenza. Il terzo problema è dato dallo stato di sofferenza dell’emittenza locale. Secondo l’analista del “Sole 24 Ore”, Marco Mele, l’emittenza locale sembra “l’agnello da sacrificare” per il futuro dell’industria dei media. Per 144 tv locali la fine delle trasmissioni è veramente dietro l’angolo: dovranno restituire le frequenze che lo Stato aveva assegnato loro due anni fa e che creano interferenze con le reti degli Stati vicini. “L’emittenza locale non aveva mai attraversato un momento critico come quello attuale”, ha detto Marco Rossignoli, coordinatore dell’Aeranti-Corallo, l’associazione che raccoglie mille imprese radiotelevisive. La sua amarezza è legata a un emendamento alla legge di Stabilità che l’esecutivo ha fatto approvare alla Camera: nelle intenzioni del Governo, doveva sostenere le tv locali; secondo gli editori, potrebbe invece affossarle in modo definitivo. “Non si tratta di una difesa aprioristica, ma di consentire a un settore fondamentale per il pluralismo di continuare a esistere”, ha voluto spiegare Luigi Bardelli, presidente del Corallo. Anche in questo caso Auditel non aiuta perché non ha strumenti adeguati. Nel 2016 dovrà essere rinnovata la licenza di servizio pubblico. Molte televisioni locali sperano in un ripensamento strategico della funzione legata all’informazione regionale. Il problema però è ancora una volta legato all’utilizzo di Auditel. Mentre la Rai, grazie alla propria dimensione nazionale, è censita anche quando si collega alle sedi regionali, le mille televisioni locali vengono invece trattate da Auditel con una costellazione di percentuali inferiori all’1% e quindi impossibili da analizzare. Un sistema che penalizza la certificazione del pluralismo informativo garantito dalla ricca emittenza locale.

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