AlluvioneDi Don Gesualdo Purziani

Fa un certo effetto il silenzio spettrale del Centro di solidarietà “Palazzolo” della Caritas di Senigallia. Qui, dove giornalmente vengono accolte decine e decine di persone in cerca di aiuto, ora ci sono soltanto fango e desolazione. Tutto andato distrutto: la cucina della mensa, il centro raccolta indumenti, gli spazi dell’accoglienza. Al secondo piano, due ospiti africani cercano di capire cosa è successo. E fanno la loro parte per recuperare quanto possibile di quella che, per qualche giorno, è la loro casa.

Poco più in là, la chiesa parrocchiale del Portone ha condiviso con l’intero quartiere e la zona sud della città una devastazione senza precedenti.
Parroco e viceparroco, in maglietta e pantaloncini, a spalare acqua e fango, ad accogliere dolore e frustrazione, a incoraggiare per riprendere in mano i luoghi della vita giornaliera. Ieri (domenica 4 maggio) ce l’hanno messa tutta per celebrare la Prima Comunione di oltre cinquanta bambini. Hanno dovuto cambiare chiesa, ma la gioia dell’incontro con il Signore è stata ancora più intensa in una celebrazione che ha incontrato molto di più le loro vite: messi da parte i fronzoli, sono andati all’essenziale.
Proprio nel giorno della festa del patrono di Senigallia (4 maggio), san Paolino da Nola, ci siamo ritrovati più fragili, deboli. E anche tanto più solidali. Perché la debolezza diventa forza quando, superati lo shock e la rabbia della distruzione, s’indossano gli stivali dell’emergenza e si comincia a pensare al dopo. Le porte del Seminario vescovile e di “Casa San Benedetto”, che di solito ospita giovani mamme in difficoltà, si sono subito aperte per dare ospitalità alle famiglie sfollate, tante persone nelle nostre parrocchie hanno offerto ospitalità a chi ha la casa sinistrata, cominciano le iniziative spontanee di solidarietà e Senigallia si è ritrovata molto più generosa e solidale di quello che pensava. L’intera città in queste ore è alle prese – a pieno regime – con le operazioni di sgombero, pulizia di appartamenti, garage e cantine, oltre che col salvataggio di tutto ciò che non è stato toccato e trascinato via dall’acqua dell’alluvione del 3 maggio. Un lavoro incessante, ventiquattro ore al giorno. E a testimoniarlo vi sono non solo le sirene, ma i tanti senigalliesi che si sono rimboccati le maniche per poter salvare qualche suppellettile o qualche ricordo non ancora finito sott’acqua della piena del fiume Misa tracimato in più punti.
“È strano – dice don Davide Barazzoni, giovane viceparroco della parrocchia alluvionata – mai come in questi giorni di sofferenza e di disperazione ho sentito forte il legame con la comunità, addirittura la gioia di far parte di questa Chiesa locale. Perché ognuno ha dato il meglio di sé e quel poco, ci siamo resi subito conto, in questi giorni è davvero fondamentale”.

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