PapaDi Cristina Dobner
I cristiani vivono nell’attesa di Colui che deve tornare e cui rivolgiamo il nostro grido: Marana thà! Vieni Signore Gesù!
Viviamo nella storia, nello svolgersi del tempo, di ogni minuto che, una volta scandito, non può più tornare. Si crea così un vuoto? Generatosi da quel momento in cui il Risorto, con gli splendidi segni della sua passione gloriosa, scomparve alla vista dei suoi? Lo sanno tutti: il vuoto genera il vuoto, nei rapporti di coppia, fra gli amici e anche nella gestione dello “sterco del diavolo”: un conto in rosso, non genera che rosso ancora.
Il Signore Gesù, il Maestro che tanto ha attirato le folle, le ha magnetizzate e ha annunziato loro il Regno di Dio, ci ha gettati in baratro così vischioso? Se così fosse, sarebbe la negazione assoluta e dimostrabile della sua Incarnazione, del Suo peregrinare di villaggio in villaggio, della Sua accettazione di una morte crudele e vergognosa per la salvezza di tutti.
Così non è. Fra di noi, Egli ha voluto rimanere con il dono supremo, per noi inimmaginabile, della Sua presenza nel Pane e nel Vino eucaristici. Ogni giorno Egli è fra i Suoi, fra coloro che Lo riconoscono e anche fra coloro che non Lo riconoscono ma che Egli attende. Ogni domenica si dona e rinnova la promessa di stare con noi, di essere Pane che nutre, sostiene, via su cui poter camminare con sicurezza.
Il Giovedì Santo di ogni anno rinnova però questo misterioso legame in modo solenne, esponendosi agli occhi di tutti e tutti sollecitando ad avvicinarsi. In ogni Cattedrale, in ogni Duomo, Egli è fra i suoi: poveri e affamati pellegrini nella storia, stracolma di inciampi e difficoltà. Quale Cattedrale, quale Duomo, antico e bagnato nella preghiera che si inanella nei secoli oppure moderno che sfida l’assenteismo odierno con il suo richiamo a questa Presenza, regge al confronto con la Cattedrale viva, in carne ed ossa, di chi soffre ed è povero nella propria umanità dolente?
Francesco non rimarrà nello splendore di San Pietro ma si porterà nel luogo del dolore che grida sempre il suo, troppo spesso inascoltato, perché? Perché a me? A questa umanità ferita e dolorante, il vescovo di Roma spezzerà il Pane che dona senso, che dona vigore, che soccorre gratuitamente e non ti promette una rivincita post mortem ma ti indica qui, proprio, qui, la chiave non risolutiva ma donante di ogni sofferenza che Egli, il Cristo crocifisso, ha assunto nella Passione.
La “Fondazione Don Carlo Gnocchi” non è un luogo povero, misero, abbandonato, anzi è un luogo specializzato, all’avanguardia, ma è il luogo per eccellenza in cui Egli, Pane sempre presente alla storia e nella storia di ciascuno e di ciascuna, si offre nella povertà e nella quotidianità del segno perché ogni povero, nostro fratello, colpito nella sua umanità e privo della salute, sia posto al centro del mistero, al posto d’onore. Grande segno di misericordia, di quell’utero del Creatore che si commuove e condivide la propria sorte fino a perdere la vita.
Ultimo Lui che pende dal legno maledetto, ultimi i malati; Ultimo Lui che arranca per giungere al Golgota e subire l’infamia; ultimi fra gli ultimi: gli oppressi dai lacci della mafia, della ‘ndrangheta, dell’usura, delle slot machine, della droga.
La Via Crucis al Colosseo che emergerà da un territorio colpito e guidata dal pastore che ne conosce le cicatrici, sarà, miracolosamente, segno di guarigione e il Pane che risplenderà sulla mensa dell’altare, sarà Luce vera che illumina e porta, nell’alchimia dell’amore di Dio, ad una trasformazione piena e totale.
Il dono di Francesco nel segno della Bellezza assoluta e gratuita, si china sugli ultimi fra gli ultimi. E noi con lui.

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