Papa Assisi

Di M. M. Nicolais

Assisi-Roma, Roma-Assisi, andata e ritorno. Un Santo e un Papa, ad ottocento anni di distanza. San Francesco è andato a Roma per essere “confermato” dal successore di Pietro, e Papa Francesco – il primo successore di Pietro che ha scelto di chiamarsi come il “poverello” – viene ad Assisi per “confermare” nella fede la sua Chiesa. E lo fa con un gesto clamoroso, non però nel senso in cui lo interpretano i media, ma entrando – anche questa una prima volta di un Papa – nella Sala della Spoliazione, il luogo dove san Francesco ha abbandonato i beni terreni, per spiegare “di che cosa deve spogliarsi la Chiesa”. Non solo la Chiesa, ma tutti i cristiani, perché la Chiesa siamo tutti noi. Così – come aveva fatto nel suo primo discorso al Serafico – abbandona il testo scritto per parlare per circa dieci minuti a braccio. Parte da Francesco, e a Francesco si rivolgerà con una sorta di preghiera speciale nell’omelia della Messa: tre invocazioni, più il “rilancio” di una preghiera per Assisi, per l’Italia, per il mondo. Ripercorriamo alcune tappe del terzo viaggio del Papa in Italia, per la festa del suo Patrono: un itinerario di 30 chilometri, a piedi e in “papamobile”, per toccare 12 luoghi francescani, con momenti pubblici ed altri privati e molto intimi, come il pranzo con i poveri al Centro di accoglienza della Caritas, la sosta silenziosa in preghiera sulla tomba di san Francesco o a Santa Chiara “a tu per tu” con il Crocifisso di San Damiano. Nel tardo pomeriggio, il “bagno di folla” con i giovani, a S. Maria degli Angeli, preceduto dalla preghiera alla Porziuncola: quasi una “Gmg” umbra con 12mila ragazzi che quasi straripavano dalle transenne.
Le piaghe di Gesù. Quando Gesù è risorto “era bellissimo, non aveva nel suo corpo né lividi né ferite”, ma “ha voluto conservare le piaghe e le ha portate in cielo”. È la frase più toccante del primo discorso del Papa, al Serafico, dove il Papa si è intrattenuto per 45 minuti con i bambini disabili e si è lasciato “provocare” da una donna, la direttrice dell’Istituto, Francesca Di Maolo.
No a “cristiani di pasticceria”. “Di che cosa la Chiesa deve spogliarsi? Di un pericolo gravissimo, che minaccia ogni persona nella Chiesa: il pericolo della mondanità”, dice il Papa nella Sala della Spoliazione, chiedendo la grazia, per tutti i cristiani, di avere il “coraggio dello spogliarsi dello spirito del mondo, che è la lebbra, il cancro della società”. La Chiesa siamo tutti noi, e “se vogliamo essere cristiani non c’è altra strada” che quella di Francesco. Non esiste un cristianesimo “più umano, senza Gesù, senza la Croce, senza spogliazione”: altrimenti, diventiamo “cristiani di pasticceria”. La mondanità spirituale “porta alla vanità, alla prepotenza, all’orgoglio”, “ci fa male”: quanto è “triste” un cristiano “mondano”, non si possono servire due padroni, Dio e il denaro.
Il “giorno di pianto” e il “mondo selvaggio”. Poi il riferimento alla tragedia di Lampedusa – “Oggi è un giorno di pianto” – e ai poveri schiacciati da questo mondo “selvaggio”, perché la mondanità spirituale “è atteggiamento omicida”, uccide “l’anima, le persone, la Chiesa”.
La Croce e la Tomba. “Insegnaci a rimanere davanti al Crocifisso, a lasciarci guardare da Lui, a lasciarci perdonare, ricreare dal suo amore”. È la prima delle tre invocazioni a Francesco “ che hanno scandito l’omelia della Messa, prima della quale Papa Francesco ha disceso le scale che portano dalla Basilica Superiore a quella Inferiore con un mazzo di rose bianche e gialle e si è inginocchiato in preghiera sulla tomba del Santo. Il primo riferimento è al Crocifisso di San Damiano, davanti al quale ha poi pregato nella chiesa di Santa Chiara: Gesù “non appare morto, ma vivo”, ha gli occhi aperti e spalancati, uno sguardo che arriva dritto al cuore.
La pace di Francesco “non è un sentimento sdolcinato”. “Insegnaci ad essere strumenti della pace”. È la seconda invocazione dell’omelia, che serve al Papa per sgombrare il campo da tutti gli stereotipi su San Francesco: “La pace francescana non è un sentimento sdolcinato”, questo san Francesco “non esiste”, come anche l’altro Francesco un po’ “new Age”, “una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo”. La pace di Francesco è quella di Cristo, che passa dai chiodi della Croce.
Custodire l’uomo. “Ottienici da Dio il dono che in questo nostro mondo ci sia armonia e pace!”, la terza invocazione a Francesco, e l’appello dalla Città della Pace: rispettiamo la creazione, facciamo cessare i conflitti, il terrorismo, la guerra, in Terra Santa, in Medio Oriente, nel mondo. L’antidoto è il Cantico delle Creature. Ma alla radice di tutto, l’uomo ha il compito di “custodire l’uomo”, dice il Papa a braccio. Infine, una speciale preghiera per l’Italia: “Ciascuno lavori sempre per il bene comune, guardando a ciò che unisce più che a ciò che divide”.
In nome di Francesco. Non aver paura del matrimonio, rifiutando la “cultura del provvisorio”, “trasformare il mondo secondo il disegno di Dio”, percorrere le strade del mondo “col Vangelo nel cuore e tra le mani”. Questi alcuni inviti rivolti dal Papa ai giovani, nella festa di piazza di S. Maria degli Angeli. Da un pastore che ha una visione di Chiesa che “cammina con il popolo”, perché non c’è niente di più bello del camminare, e nel cammino ascoltarsi e raccontarsi la vita. Perché il popolo, e giovani soprattutto, hanno “fiuto” nel trovare piste nuove e creative. Prima la testimonianza, poi le parole, dice il Papa ai “suoi” giovani. “Nel nome di San Francesco”.

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