(Foto: Caritas Bolzano-Bressanone)

Di Patrizia Caiffa

“Oggi essere missionari significa condividere il quotidiano delle persone, mettersi accanto a chi è ferito dall’ingiustizia e dalle migrazioni forzate, difendere la dignità dei più poveri, ma anche avere il coraggio di denunciare ciò che nega la vita”. Ne è convinto padre Luigi Fernando Codianni, superiore generale dei Missionari Comboniani, che si stanno preparando attivamente al Giubileo del mondo missionario del 4-5 ottobre 2025. “Il futuro della missione si gioca in una dimensione sempre più globale e interculturale”, afferma in questa intervista al Sir: “Il missionario di oggi e di domani deve essere capace di dialogare con le culture digitali, attento al grido dei poveri e al grido della terra, pronto a vivere in contesti segnati da conflitti e migrazioni, preparato al dialogo interreligioso e interculturale”. Attualmente ci sono 1.470 comboniani nel mondo, originari di 48 Paesi. Sono presenti in 41 Paesi tra Africa, America, Asia e Europa.

Padre Luigi Fernando Codianni (foto fornita da L. Codianni)

Come i Comboniani si preparano al Giubileo del mondo missionario? Chi parteciperà alle celebrazioni a San Pietro?

Il cammino è già iniziato con la partecipazione ad altri eventi giubilari, come il Giubileo dei Giovani (28 luglio – 3 agosto), quando quasi 300 ragazzi provenienti dalle nostre circoscrizioni missionarie di tutto il mondo sono stati accolti in diverse comunità italiane e poi accompagnati a Roma per l’incontro con Papa Leone. È stata un’esperienza di fede e interculturalità che ha arricchito sia i giovani sia le comunità ospitanti: momenti di preghiera, fraternità, confronto e festa hanno permesso di vivere in anticipo lo spirito del Giubileo missionario, che ha come centro l’incontro e la comunione tra popoli e culture. Nei giorni scorsi la nostra sede generalizia di Roma-Eur ha ospitato inoltre l’Assemblea intercapitolare dell’Istituto, che riunisce circa quaranta delegati provenienti da Africa, America Latina, Europa e Asia. Nel cuore dei loro lavori, essi hanno voluto celebrare un vero e proprio “giubileo comboniano”, riconoscendo il valore di camminare insieme nella missione. Diversi di loro resteranno a Roma e parteciperanno anche alle celebrazioni di ottobre a San Pietro, coinvolgendosi nelle attività organizzate dalle Pontificie opere missionarie (Pom). La provincia italiana, tra l’altro, è coinvolta nell’organizzazione del Festival della Missione che si realizzerà a Torino, dal 9 al 12 ottobre, come “estensione” del Giubileo stesso.

Nel mondo attuale, segnato da conflitti, crisi migratorie e disuguaglianze, che senso ha oggi la missione? È ancora attuale parlare di evangelizzazione?
La missione è più che mai attuale. Come ci ricorda Papa Francesco, non viviamo un’epoca di cambiamenti, ma “un cambiamento d’epoca”.

In questo scenario, segnato da guerre, violenze e nuove forme di povertà, la missione è chiamata a portare speranza, fraternità e giustizia.

L’annuncio del Vangelo non si esprime come imposizione o proselitismo, ma come testimonianza di vita, come vicinanza concreta a chi soffre e come dialogo rispettoso con tutti. Oggi essere missionari significa condividere il quotidiano delle persone, mettersi accanto a chi è ferito dall’ingiustizia e dalle migrazioni forzate, difendere la dignità dei più poveri, ma anche avere il coraggio di denunciare ciò che nega la vita. L’evangelizzazione resta, dunque, essenziale: è il cuore della nostra vocazione, ma si declina come segno di fraternità, di pace e di cura del creato.

Cosa risponde a chi ancora accusa la missione di essere una forma di colonialismo religioso o culturale?

Queste accuse si riferiscono a un passato che non ci appartiene. San Daniele Comboni, già nel XIX secolo, aveva intuito la necessità di “salvare l’Africa con l’Africa”: non una missione che impone, ma una missione che valorizza, che accompagna, che cresce con le persone. Oggi questa visione è più viva che mai. I Comboniani non portano modelli da esportare, ma camminano con i popoli, condividendone fatiche, speranze e aspirazioni. Il Vangelo non si impone, si testimonia. La missione è servizio, dialogo e apertura all’altro. E in un tempo in cui il fondamentalismo e l’intolleranza sono in crescita, la presenza missionaria diventa ancora più necessaria per costruire ponti, favorire relazioni autentiche e generare amicizia sociale.

I giovani sembrano sempre più lontani dalla fede e dalla vita religiosa: i missionari del futuro dove sono e quali caratteristiche devono avere?

È vero che in Europa e in altri Paesi occidentali le vocazioni sono in calo e i giovani appaiono distanti dalla pratica religiosa. Tuttavia, in Africa e in alcune regioni dell’America Latina le vocazioni missionarie sono in aumento. Ciò significa che il futuro della missione si gioca in una dimensione sempre più globale e interculturale.

Il missionario di oggi e di domani deve essere capace di dialogare con le culture digitali, attento al grido dei poveri e al grido della terra, pronto a vivere in contesti segnati da conflitti e migrazioni, preparato al dialogo interreligioso e interculturale.

Nelle nostre case di formazione cerchiamo di offrire ai giovani strumenti adeguati: non solo studi accademici, ma esperienze concrete di servizio, immersioni in contesti difficili, una spiritualità solida e una forte capacità di discernimento. Crediamo che i giovani abbiano ancora sete di senso e di fraternità: se incontrano testimoni credibili, scoprono che la missione è una strada entusiasmante.

Lei ha visitato molte missioni in Africa, America Latina e Asia: qual è il grido più forte che ha ascoltato e cosa dovrebbe fare la Chiesa oggi per rispondere?

Il grido più forte è quello delle popolazioni che vivono in situazioni di guerra, ingiustizia e povertà estrema.

Ho visitato comunità dilaniate dai conflitti nella RD Congo, Sudan e in Sud Sudan, Centrafrica, Ciad, missioni segnate dalla violenza in Mozambico e in America Latina, e ho ascoltato il dolore di intere famiglie costrette alla fuga. Sono tragedie umanitarie che non possono lasciarci indifferenti. A questo grido si aggiunge quello dei migranti che arrivano alle nostre coste europee, e quello della terra, ferita dal cambiamento climatico. La Chiesa non deve avere paura di esporsi. È chiamata a denunciare con coraggio le ingiustizie, a difendere i diritti dei più deboli, a promuovere la pace e la riconciliazione. Al tempo stesso, deve offrire segni concreti di vicinanza: scuole, ospedali, centri di accoglienza, comunità capaci di offrire ascolto e sostegno.

La missione, oggi, non può fare a meno della dimensione sociale ed ecologica:

giustizia, pace e cura del creato sono parte integrante dell’annuncio evangelico. Come dice Papa Francesco, dobbiamo essere una Chiesa in uscita, sinodale, capace di camminare insieme e di annunciare il Vangelo con la vita.

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *